Architettura e design
Houzz per i Pro
Come Frank Lloyd Wright ha Influito sull’Architettura Giapponese
Viaggio alla scoperta della forte influenza che il grande maestro statunitense ha esercitato su generazioni di progettisti del Sol Levante
Karen Severns, l’autrice di questo articolo, è una scrittrice e regista. Nel 2005 ha realizzato, assieme al marito Koichi Mori, il documentario dal titolo Magnificent Obsession: Frank Lloyd Wright’s Buildings and Legacy in Japan (ndr).
Dieci anni or sono ho realizzato un film su Frank Lloyd Wright nel quale si suggeriva – e si cercava di dimostrare – l’ipotesi secondo la quale il celebre architetto statunitense avrebbe esercitato una grande influenza sui suoi colleghi giapponesi, pari a quella esercitata su di lui dai suoi predecessori provenienti dal Sol Levante.
Naturalmente, il concetto di “influenza” è molto insidioso, e pochi artisti sono disposti ad ammettere di avere avuto dei precursori. Lo stesso Wright insisteva sul fatto che l’arte e l’estetica giapponesi – e non ancora l’architettura di quel paese – avessero costituito per lui fonte d’ispirazione. Affascinato dalle stampe realizzate con le matrici in legno degli ukiyo-e intorno al 1880, nonché dalla raffinatezza di quel modello di espressione artistica, l’architetto statunitense celebrava il “carattere organico” dell’estetica giapponese: «La loro arte era più vicina alla terra e costituiva un prodotto più fedele alle autoctone condizioni di vita e di lavoro, e pertanto era, a mio avviso, più accostabile al moderno di qualsiasi altra civiltà europea».
Dieci anni or sono ho realizzato un film su Frank Lloyd Wright nel quale si suggeriva – e si cercava di dimostrare – l’ipotesi secondo la quale il celebre architetto statunitense avrebbe esercitato una grande influenza sui suoi colleghi giapponesi, pari a quella esercitata su di lui dai suoi predecessori provenienti dal Sol Levante.
Naturalmente, il concetto di “influenza” è molto insidioso, e pochi artisti sono disposti ad ammettere di avere avuto dei precursori. Lo stesso Wright insisteva sul fatto che l’arte e l’estetica giapponesi – e non ancora l’architettura di quel paese – avessero costituito per lui fonte d’ispirazione. Affascinato dalle stampe realizzate con le matrici in legno degli ukiyo-e intorno al 1880, nonché dalla raffinatezza di quel modello di espressione artistica, l’architetto statunitense celebrava il “carattere organico” dell’estetica giapponese: «La loro arte era più vicina alla terra e costituiva un prodotto più fedele alle autoctone condizioni di vita e di lavoro, e pertanto era, a mio avviso, più accostabile al moderno di qualsiasi altra civiltà europea».
Litografia: La Coonley House di Frank Lloyd Wright, Wasmuth Portfolio, 1910 (“Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright”); © Frank Lloyd Wright Foundation.
Una rivoluzione nell’architettura residenziale
Volumi bassi e allungati che abbracciavano la terra, fondendosi fisicamente e spiritualmente con il panorama delle pianure erbose del Midwest, le case di Wright si caratterizzavano per le planimetrie aperte e cruciformi, che liberavano spazio e movimento con un dinamismo molto “americano”, apparendo come luoghi intimi e allo stesso tempo molto spaziosi. Tipicamente americano era anche il suo concentrare l’attenzione sul focolare, che l’architetto spostò al centro della casa come punto di incontro della vita familiare. Wright inventò anche le pareti in vetro piombato, definendo questi elementi come “schermi di luce”, ed esaltò l’utilizzo delle travi a sbalzo come mai nessuno prima di lui.
L’insistenza di Wright sull’idea che le case dovessero essere progettate in modo da risultare funzionali, belle e vitali riecheggia nella sfida condivisa dall’architettura contemporanea volta a costruire case più comode, più sostenibili e a maggiore efficienza energetica.
In Giappone, oggi troviamo potenti riverberi della rivoluzione residenziale di Wright nelle case disegnate da architetti come Kazuyo Sejima, Kengo Kuma e Takaharu Tezuka, che, come il loro predecessore statunitense, sono celebrati per la grande attenzione all’orientamento dei loro progetti – basato su considerazioni di ordine climatico e di impatto ambientale – per l’applicazione di innovative tecniche costruttive e di tecnologie, nonché per le loro idee fuori dal coro.
Di fatto, l’architettura in Giappone tuttora appare essere profondamente ispirata dagli ideali rappresentati dall’opera di Frank Lloyd Wright. «L’architetto americano ha sempre pensato alla natura in termini pratici e non astratti», sostiene Kengo Kuma. «Quando Wright fa uso di materiali naturali, questi prendono vita. La sua visione era brillantemente premonitrice. Oggi più che mai, dopo che le “macchine da abitare” di Le Corbusier hanno lasciato il loro segno nella storia all’insegna dell’oppressione, studiare Wright rappresenta per noi una magnifica opportunità per addentrarci nelle trame della realtà».
Takaharu Tezuka fa riferimento all’attenzione di Wright per il comfort: «Gli abitanti delle case da lui progettate non hanno mai sofferto per atmosfere fredde e razionali. Quando lui crea uno spazio confortevole, questo spazio diventa sostenibile con naturalezza. Abbiamo ancora molto da imparare da lui».
Una rivoluzione nell’architettura residenziale
Volumi bassi e allungati che abbracciavano la terra, fondendosi fisicamente e spiritualmente con il panorama delle pianure erbose del Midwest, le case di Wright si caratterizzavano per le planimetrie aperte e cruciformi, che liberavano spazio e movimento con un dinamismo molto “americano”, apparendo come luoghi intimi e allo stesso tempo molto spaziosi. Tipicamente americano era anche il suo concentrare l’attenzione sul focolare, che l’architetto spostò al centro della casa come punto di incontro della vita familiare. Wright inventò anche le pareti in vetro piombato, definendo questi elementi come “schermi di luce”, ed esaltò l’utilizzo delle travi a sbalzo come mai nessuno prima di lui.
L’insistenza di Wright sull’idea che le case dovessero essere progettate in modo da risultare funzionali, belle e vitali riecheggia nella sfida condivisa dall’architettura contemporanea volta a costruire case più comode, più sostenibili e a maggiore efficienza energetica.
In Giappone, oggi troviamo potenti riverberi della rivoluzione residenziale di Wright nelle case disegnate da architetti come Kazuyo Sejima, Kengo Kuma e Takaharu Tezuka, che, come il loro predecessore statunitense, sono celebrati per la grande attenzione all’orientamento dei loro progetti – basato su considerazioni di ordine climatico e di impatto ambientale – per l’applicazione di innovative tecniche costruttive e di tecnologie, nonché per le loro idee fuori dal coro.
Di fatto, l’architettura in Giappone tuttora appare essere profondamente ispirata dagli ideali rappresentati dall’opera di Frank Lloyd Wright. «L’architetto americano ha sempre pensato alla natura in termini pratici e non astratti», sostiene Kengo Kuma. «Quando Wright fa uso di materiali naturali, questi prendono vita. La sua visione era brillantemente premonitrice. Oggi più che mai, dopo che le “macchine da abitare” di Le Corbusier hanno lasciato il loro segno nella storia all’insegna dell’oppressione, studiare Wright rappresenta per noi una magnifica opportunità per addentrarci nelle trame della realtà».
Takaharu Tezuka fa riferimento all’attenzione di Wright per il comfort: «Gli abitanti delle case da lui progettate non hanno mai sofferto per atmosfere fredde e razionali. Quando lui crea uno spazio confortevole, questo spazio diventa sostenibile con naturalezza. Abbiamo ancora molto da imparare da lui».
L’Occidente incontra l’Oriente ad Asakusa. © Edo Tokyo Museum
Wright e il primo approccio con il Giappone
Nel 1905, all’epoca della prima visita di Wright nel paese, molte delle idee occidentali riguardo all’esotismo giapponese erano svanite, così come non esistevano più i grandi latifondi feudali. Dopo circa trecento anni di isolamento, con la Restaurazione Meiji del 1868, il paese asiatico avviò senza esitazioni un’opera di rieducazione, “illuminazione” e occidentalizzazione. Nonostante l’influenza dell’architettura europea, che Wright successivamente avrebbe duramente criticato (“pessime copie di pessimi originali realizzate con pessime tecniche”), l’architetto sosteneva comunque che il Giappone fosse il posto “più romantico e più bello” del pianeta. Quando gli scandali della sua vita privata cominciarono a influenzare negativamente la sua carriera, nei primi anni dieci del Novecento, l’architetto si buttò a capofitto sul progetto del nuovo Imperial Hotel di Tokyo.
Wright e il primo approccio con il Giappone
Nel 1905, all’epoca della prima visita di Wright nel paese, molte delle idee occidentali riguardo all’esotismo giapponese erano svanite, così come non esistevano più i grandi latifondi feudali. Dopo circa trecento anni di isolamento, con la Restaurazione Meiji del 1868, il paese asiatico avviò senza esitazioni un’opera di rieducazione, “illuminazione” e occidentalizzazione. Nonostante l’influenza dell’architettura europea, che Wright successivamente avrebbe duramente criticato (“pessime copie di pessimi originali realizzate con pessime tecniche”), l’architetto sosteneva comunque che il Giappone fosse il posto “più romantico e più bello” del pianeta. Quando gli scandali della sua vita privata cominciarono a influenzare negativamente la sua carriera, nei primi anni dieci del Novecento, l’architetto si buttò a capofitto sul progetto del nuovo Imperial Hotel di Tokyo.
Foto: Wright e la squadra dell’Imperial Hotel, 1921. © FLLW Foundation (Museum of Modern Art/Avery Architectural & Fine Arts Library, Columbia University).
La prima generazione di apprendisti
Una dozzina di giovani collaboratori assistette Wright nello studio allestito per la progettazione dell’Imperial Hotel di Tokyo dal 1917 al 1922. Di questa “prima generazione” di allievi, quattro ebbero poi fulgide carriere che molto dovevano all’influenza del grande architetto: Arata Endo (in questa foto del 1921: il secondo da sinistra seduto, vestito di bianco), Antonin Raymond (l’ultimo a sinistra seduto), Kameki Tsuchiura (che qui vediamo al centro, vestito di chiaro, tra Wright e l’imprenditore edile Paul Mueller) e Yoshiya Tanoue. Questi architetti non solo hanno poi creato propri capolavori trasformando il paesaggio delle città giapponesi: sono anche stati, a loro volta, i mentori di una nuova generazione di progettisti che poi ha fatto lo stesso, e così via di generazione in generazione.
Wright e gli architetti che ne hanno seguito le orme rappresentano una concreta sintesi di culture diverse: la migliore combinazione di tradizione e contemporaneità, di influenze provenienti dal Giappone e dal mondo occidentale. Ripercorrendo la storia, emerge con prepotenza l’influenza esercitata, direttamente o indirettamente, dal grande progettista statunitense, così come appare chiaro il filo rosso che lega queste esperienze.
La prima generazione di apprendisti
Una dozzina di giovani collaboratori assistette Wright nello studio allestito per la progettazione dell’Imperial Hotel di Tokyo dal 1917 al 1922. Di questa “prima generazione” di allievi, quattro ebbero poi fulgide carriere che molto dovevano all’influenza del grande architetto: Arata Endo (in questa foto del 1921: il secondo da sinistra seduto, vestito di bianco), Antonin Raymond (l’ultimo a sinistra seduto), Kameki Tsuchiura (che qui vediamo al centro, vestito di chiaro, tra Wright e l’imprenditore edile Paul Mueller) e Yoshiya Tanoue. Questi architetti non solo hanno poi creato propri capolavori trasformando il paesaggio delle città giapponesi: sono anche stati, a loro volta, i mentori di una nuova generazione di progettisti che poi ha fatto lo stesso, e così via di generazione in generazione.
Wright e gli architetti che ne hanno seguito le orme rappresentano una concreta sintesi di culture diverse: la migliore combinazione di tradizione e contemporaneità, di influenze provenienti dal Giappone e dal mondo occidentale. Ripercorrendo la storia, emerge con prepotenza l’influenza esercitata, direttamente o indirettamente, dal grande progettista statunitense, così come appare chiaro il filo rosso che lega queste esperienze.
1. Arata Endo, il braccio destro di Frank Lloyd Wright
Nel gennaio del 1917, Wright tornò in Giappone con l’intento di stabilirsi per metà dell’anno a Tokyo mentre il progetto dell’hotel andava prendendo forma. Nei sei anni successivi, assistito assiduamente dal collaboratore Arata Endo, Wright progettò nel paese altri tredici edifici, sei dei quali erano abitazioni private. Arata si era laureato in quella che oggi è l’Università di Tokyo, e selezionò personalmente molti dei disegnatori impegnati nel progetto dell’Imperial Hotel.
L’architetto giapponese passò due anni, tra il 1917 e il 1918, in Wisconsin, nella residenza-studio di Wright a Taliesin, lavorando sui disegni dell’hotel e su altri progetti, e successivamente, quando, nel 1922, Wright fece ritorno nel proprio paese, diresse il completamento dei lavori dell’Imperial e della scuola Jiyu Gakuen, della quale avrebbe condiviso con il maestro la paternità.
Dei sei progetti residenziali di Wright, soltanto tre furono realizzati: Casa Aisaku Hayashi, Casa Arinobu Fukuhara e Casa Tazaemon Yamamura (Casa Fukuhara fu distrutta dal grande terremoto del Kanto del 1923).
Casa Hayashi, Frank Lloyd Wright
Il primo progetto residenziale di Wright in terra non americana fu la casa che l’architetto disegnò nel 1917 per il direttore dell’Imperial Hotel, Aisaku Hayashi, e la sua grande famiglia. Hayashi aveva passato molti anni negli Stati Uniti, prima frequentandovi il liceo e successivamente per motivi professionali, perciò riteneva normale avere uno stile di vita occidentale. Immersa in collina, alla periferia di Tokyo, la struttura a un piano ricalca il tardo stile della casa della prateria. Peraltro, l’incrocio degli elementi in legno, sul colmo del tetto in rame, riprende i katsuogi, le travi decorative dei tradizionali santuari shintoisti. All’interno, in un grande spazio giorno, si trovava un semplice camino in pietra oya, la stessa pietra lavica utilizzata da Wright per le decorazioni geometriche dell’Imperial Hotel. Nella parte posteriore c’era una piscina e, accanto all’abitazione, sorgeva una fattoria, dalla quale, ogni mattina, partivano dei carri con i prodotti freschi per i clienti dell’albergo.
Nel 1923, Hayashi vendette la casa, che ebbe diversi proprietari fino al 1950, quando un’agenzia pubblicitaria la acquistò per ospitarci i suoi clienti. Dopo plurimi interventi di ristrutturazione effettuati nel tempo, soltanto il soggiorno e la piscina sono rimasti abbastanza fedeli all’originale. Oggi l’edificio non è aperto al pubblico.
Nel gennaio del 1917, Wright tornò in Giappone con l’intento di stabilirsi per metà dell’anno a Tokyo mentre il progetto dell’hotel andava prendendo forma. Nei sei anni successivi, assistito assiduamente dal collaboratore Arata Endo, Wright progettò nel paese altri tredici edifici, sei dei quali erano abitazioni private. Arata si era laureato in quella che oggi è l’Università di Tokyo, e selezionò personalmente molti dei disegnatori impegnati nel progetto dell’Imperial Hotel.
L’architetto giapponese passò due anni, tra il 1917 e il 1918, in Wisconsin, nella residenza-studio di Wright a Taliesin, lavorando sui disegni dell’hotel e su altri progetti, e successivamente, quando, nel 1922, Wright fece ritorno nel proprio paese, diresse il completamento dei lavori dell’Imperial e della scuola Jiyu Gakuen, della quale avrebbe condiviso con il maestro la paternità.
Dei sei progetti residenziali di Wright, soltanto tre furono realizzati: Casa Aisaku Hayashi, Casa Arinobu Fukuhara e Casa Tazaemon Yamamura (Casa Fukuhara fu distrutta dal grande terremoto del Kanto del 1923).
Casa Hayashi, Frank Lloyd Wright
Il primo progetto residenziale di Wright in terra non americana fu la casa che l’architetto disegnò nel 1917 per il direttore dell’Imperial Hotel, Aisaku Hayashi, e la sua grande famiglia. Hayashi aveva passato molti anni negli Stati Uniti, prima frequentandovi il liceo e successivamente per motivi professionali, perciò riteneva normale avere uno stile di vita occidentale. Immersa in collina, alla periferia di Tokyo, la struttura a un piano ricalca il tardo stile della casa della prateria. Peraltro, l’incrocio degli elementi in legno, sul colmo del tetto in rame, riprende i katsuogi, le travi decorative dei tradizionali santuari shintoisti. All’interno, in un grande spazio giorno, si trovava un semplice camino in pietra oya, la stessa pietra lavica utilizzata da Wright per le decorazioni geometriche dell’Imperial Hotel. Nella parte posteriore c’era una piscina e, accanto all’abitazione, sorgeva una fattoria, dalla quale, ogni mattina, partivano dei carri con i prodotti freschi per i clienti dell’albergo.
Nel 1923, Hayashi vendette la casa, che ebbe diversi proprietari fino al 1950, quando un’agenzia pubblicitaria la acquistò per ospitarci i suoi clienti. Dopo plurimi interventi di ristrutturazione effettuati nel tempo, soltanto il soggiorno e la piscina sono rimasti abbastanza fedeli all’originale. Oggi l’edificio non è aperto al pubblico.
Prospetto della Casa Tadashiro Inoue, 1918. © FLLW Foundation. Plastico della Nihon University.
Casa Inoue, Frank Lloyd Wright
Il nobile Tadashiro Inoue aveva vissuto in Germania e in America a inizio secolo, e sapeva quanto Wright fosse famoso. Gli commissionò una casa in cima a una collina nell’esclusivo quartiere di Mejiro, a Tokyo. Nel 1918, Wright progettò così questa elegante tenuta su due piani, realizzata in mattoni, pietra oya e cemento armato. Sul lato a nordest si estendeva un’ala a un piano, mentre il lato ovest ospitava una serie di camere con tatami, un garage per tre auto e l’alloggio dell’autista. La villa, però, non fu mai costruita, a causa forse degli elevati costi di manutenzione previsti.
Casa Inoue, Frank Lloyd Wright
Il nobile Tadashiro Inoue aveva vissuto in Germania e in America a inizio secolo, e sapeva quanto Wright fosse famoso. Gli commissionò una casa in cima a una collina nell’esclusivo quartiere di Mejiro, a Tokyo. Nel 1918, Wright progettò così questa elegante tenuta su due piani, realizzata in mattoni, pietra oya e cemento armato. Sul lato a nordest si estendeva un’ala a un piano, mentre il lato ovest ospitava una serie di camere con tatami, un garage per tre auto e l’alloggio dell’autista. La villa, però, non fu mai costruita, a causa forse degli elevati costi di manutenzione previsti.
Elevazione della Casa di Shimpei Goto, 1921. © FLLW Foundation. Plastico della Nihon University.
Casa Goto, Frank Lloyd Wright
Nel 1921, Wright cominciò anche a progettare questa residenza su due piani per il barone Shimpei Goto, membro del consiglio di amministrazione delle ferrovie nazionali giapponesi e governatore di Tokyo. La casa non fu mai costruita, ma i disegni, come pure questo recente plastico, mostrano un significativo adattamento dello stile Prairie alle necessità di un edificio con funzioni più “pubbliche”, una più spiccata formalità e dimensioni da palazzo governativo. Era previsto che al piano terra ci fosse una grande reception incorniciata da una loggia affacciata sul giardino, mentre il secondo piano avrebbe ospitato gli alloggi privati.
Casa Goto, Frank Lloyd Wright
Nel 1921, Wright cominciò anche a progettare questa residenza su due piani per il barone Shimpei Goto, membro del consiglio di amministrazione delle ferrovie nazionali giapponesi e governatore di Tokyo. La casa non fu mai costruita, ma i disegni, come pure questo recente plastico, mostrano un significativo adattamento dello stile Prairie alle necessità di un edificio con funzioni più “pubbliche”, una più spiccata formalità e dimensioni da palazzo governativo. Era previsto che al piano terra ci fosse una grande reception incorniciata da una loggia affacciata sul giardino, mentre il secondo piano avrebbe ospitato gli alloggi privati.
Foto © Yodoko Steel Works.
Casa Yamamura, Frank Lloyd Wright e Arata Endo
La costruzione di questa residenza estiva, commissionata dal facoltoso produttore di sake Tazaemon Yamamura, fu completata soltanto a sei anni da quando, nel 1918, Wright aveva realizzato i suoi primi schizzi e un plastico: il ritardo era dovuto a quello a sua volta subito dai lavori dell’Imperial Hotel. Quando, nel 1922, Wright lasciò il Giappone, Arata Endo assunse la guida del progetto, che quindi firmò, a fianco del maestro, al suo completamento, avvenuto nel 1924. Era la seconda volta che ciò avveniva: il primo lavoro condiviso a tutti gli effetti era stata la scuola Jiyu Gakuen, realizzata nel 1921.
Casa Yamamura, Frank Lloyd Wright e Arata Endo
La costruzione di questa residenza estiva, commissionata dal facoltoso produttore di sake Tazaemon Yamamura, fu completata soltanto a sei anni da quando, nel 1918, Wright aveva realizzato i suoi primi schizzi e un plastico: il ritardo era dovuto a quello a sua volta subito dai lavori dell’Imperial Hotel. Quando, nel 1922, Wright lasciò il Giappone, Arata Endo assunse la guida del progetto, che quindi firmò, a fianco del maestro, al suo completamento, avvenuto nel 1924. Era la seconda volta che ciò avveniva: il primo lavoro condiviso a tutti gli effetti era stata la scuola Jiyu Gakuen, realizzata nel 1921.
Foto © Yodoko Steel Works.
Siamo in Giappone occidentale: situata in cima alla collina di Ashiya, che affaccia sul porto di Kobe, questa villa mostra tutto il genio di Wright per la composizione spaziale: anche se complessivamente ha quattro livelli, questi sono percepibili a due a due. «Sembra la casa di Escher», commenta ridendo lo storico Alex Kerr, che negli anni Settanta, quando la costruzione era abbandonata, racconta di esserci entrato di nascosto più di una volta. «Sali qualche gradino e ti trovi più in basso del punto dove hai cominciato».
Siamo in Giappone occidentale: situata in cima alla collina di Ashiya, che affaccia sul porto di Kobe, questa villa mostra tutto il genio di Wright per la composizione spaziale: anche se complessivamente ha quattro livelli, questi sono percepibili a due a due. «Sembra la casa di Escher», commenta ridendo lo storico Alex Kerr, che negli anni Settanta, quando la costruzione era abbandonata, racconta di esserci entrato di nascosto più di una volta. «Sali qualche gradino e ti trovi più in basso del punto dove hai cominciato».
Foto © Yodoko Steel Works.
Collocando l’edificio sulla collina, Wright ha sfruttato la vista a 360° e le piacevoli brezze che si godono da quell’altezza. La facciata ricorda quella della casa di Aline Barnsdall di Los Angeles, che Wright progettò contemporaneamente, anche se qui i blocchi decorativi furono realizzati in cemento e non in pietra oya.
Nella fase finale, quando il progetto cominciava a prendere forma, Arata Endo integrò gli schemi concettuali di Wright completando le camere dei tatami con pannelli scorrevoli shoji e con pareti shikkui in stucco e bambù. Nel salone al secondo piano, l’architetto creò uno shakkei (il “paesaggio preso a prestito”), incorniciandolo con una finestra come se fosse un quadro.
Il corridoio lungo le stanze dei tatami al terzo piano si caratterizza per una lunga fila di porte a battente, ciascuna decorata con una diversa variante del motivo in rame e legno distintivo della casa, creando una sinfonia di effetti ottici che muta al passaggio dei raggi del sole lungo la facciata sud dell’edificio.
Collocando l’edificio sulla collina, Wright ha sfruttato la vista a 360° e le piacevoli brezze che si godono da quell’altezza. La facciata ricorda quella della casa di Aline Barnsdall di Los Angeles, che Wright progettò contemporaneamente, anche se qui i blocchi decorativi furono realizzati in cemento e non in pietra oya.
Nella fase finale, quando il progetto cominciava a prendere forma, Arata Endo integrò gli schemi concettuali di Wright completando le camere dei tatami con pannelli scorrevoli shoji e con pareti shikkui in stucco e bambù. Nel salone al secondo piano, l’architetto creò uno shakkei (il “paesaggio preso a prestito”), incorniciandolo con una finestra come se fosse un quadro.
Il corridoio lungo le stanze dei tatami al terzo piano si caratterizza per una lunga fila di porte a battente, ciascuna decorata con una diversa variante del motivo in rame e legno distintivo della casa, creando una sinfonia di effetti ottici che muta al passaggio dei raggi del sole lungo la facciata sud dell’edificio.
Foto © Yodoko Steel Works.
Foto © Yodoko Steel Works.
La Casa Yamamura rappresenta la prima vera sintesi di architettura occidentale e giapponese. «Penso che il contributo di Arata Endo all’attività di Wright in Giappone sia stato essenziale», sostiene Margo Stipe, storica dell’architettura e segretaria della Frank Lloyd Wright Foundation. «Arata Endo credeva profondamente in ciò che Wright stava realizzando. Si riconosceva in questa opera di combinazione con l’architettura giapponese. Condivideva le idee di Wright sui modi in cui sposare le due diverse architetture, per arrivare a creare una tradizione ininterrotta di architettura organica».
La società Yodogawa Steel Works ha acquistato l’immobile nel 1974, e oggi la Yodoko Guest House in alcuni periodi dell’anno è aperta al pubblico.
La Casa Yamamura rappresenta la prima vera sintesi di architettura occidentale e giapponese. «Penso che il contributo di Arata Endo all’attività di Wright in Giappone sia stato essenziale», sostiene Margo Stipe, storica dell’architettura e segretaria della Frank Lloyd Wright Foundation. «Arata Endo credeva profondamente in ciò che Wright stava realizzando. Si riconosceva in questa opera di combinazione con l’architettura giapponese. Condivideva le idee di Wright sui modi in cui sposare le due diverse architetture, per arrivare a creare una tradizione ininterrotta di architettura organica».
La società Yodogawa Steel Works ha acquistato l’immobile nel 1974, e oggi la Yodoko Guest House in alcuni periodi dell’anno è aperta al pubblico.
Foto © Wasaku Kuno
Casa Kondo, Arata Endo
Attraverso ambienti religiosi, Arata Endo conobbe Kenji Kondo, che dirigeva la società Asahi Asbestos Company, era stato segretario del barone Shimpei Goto a Taiwan, e aveva ben undici figli. Kondo era proprietario di un enorme terreno a Tsujido, nella Prefettura di Kanagawa, e chiese ad Arata Endo di progettargli una villa per i fine settimana.
Ispirandosi alle idee di Wright, l’architetto giapponese creò una struttura a L che si ergeva nei pressi del laghetto situato sul lato nord della tenuta, dando vita a un continuum casa-scenario naturale. Come il suo maestro, peraltro, Arata Endo progettava sempre anche mobili e lampade, in modo da garantire la massima integrazione degli ambienti da lui ideati.
Casa Kondo, Arata Endo
Attraverso ambienti religiosi, Arata Endo conobbe Kenji Kondo, che dirigeva la società Asahi Asbestos Company, era stato segretario del barone Shimpei Goto a Taiwan, e aveva ben undici figli. Kondo era proprietario di un enorme terreno a Tsujido, nella Prefettura di Kanagawa, e chiese ad Arata Endo di progettargli una villa per i fine settimana.
Ispirandosi alle idee di Wright, l’architetto giapponese creò una struttura a L che si ergeva nei pressi del laghetto situato sul lato nord della tenuta, dando vita a un continuum casa-scenario naturale. Come il suo maestro, peraltro, Arata Endo progettava sempre anche mobili e lampade, in modo da garantire la massima integrazione degli ambienti da lui ideati.
Foto © Wasaku Kuno
Al secondo piano troviamo uno studio con tatami e pannelli shoji, mentre, al primo livello, in tre camere da letto con tatami e in un soggiorno in stile occidentale, ricorre il tema del grande focolare in pietra oya creato da Arata Endo e da Wright per l’Imperial Hotel, la Scuola Jiyu Gakuen e la Casa Yamamura. Nel 1925 fu anche costruita una terrazza posteriore in legno, con un leggero tetto a spigolo ricoperto di paglia e un pergolato di glicine.
La villa è scampata miracolosamente alla demolizione e nel 1983 è stata rimossa e ricostruita accanto al centro civico della città di Fujisawa. Oggi è aperta al pubblico.
Al secondo piano troviamo uno studio con tatami e pannelli shoji, mentre, al primo livello, in tre camere da letto con tatami e in un soggiorno in stile occidentale, ricorre il tema del grande focolare in pietra oya creato da Arata Endo e da Wright per l’Imperial Hotel, la Scuola Jiyu Gakuen e la Casa Yamamura. Nel 1925 fu anche costruita una terrazza posteriore in legno, con un leggero tetto a spigolo ricoperto di paglia e un pergolato di glicine.
La villa è scampata miracolosamente alla demolizione e nel 1983 è stata rimossa e ricostruita accanto al centro civico della città di Fujisawa. Oggi è aperta al pubblico.
Villa Kachi, Arata Endo
Per Toshio Kachi, titolare di un’azienda di import-export che aveva appena fatto ritorno da Londra dopo molti anni, Arata Endo costruì sia una lussuosa abitazione a Tokyo che una villa per le vacanze al mare ad Hayama, nella Prefettura di Kanagawa. Questa villa fu costruita nel 1928 utilizzando legno, intonaco, pietra oya e rame (per il tetto con timpano). La balconata “a dente di sega”, che ricorda la tenuta di Wright a Taliesin, si estende lungo una “stanza panoramica” al secondo piano sulla baia di Sagami.
Per Toshio Kachi, titolare di un’azienda di import-export che aveva appena fatto ritorno da Londra dopo molti anni, Arata Endo costruì sia una lussuosa abitazione a Tokyo che una villa per le vacanze al mare ad Hayama, nella Prefettura di Kanagawa. Questa villa fu costruita nel 1928 utilizzando legno, intonaco, pietra oya e rame (per il tetto con timpano). La balconata “a dente di sega”, che ricorda la tenuta di Wright a Taliesin, si estende lungo una “stanza panoramica” al secondo piano sulla baia di Sagami.
Foto storica degli interni © Kiyoshi Higuchi
Situato sul fianco di una ripida collina, l’edificio si distingue per i suoi volumi incrociati, che creano un insieme complesso e davvero interessante, con effetti simili a quelli creati per Casa Yamamura. Dall’ingresso, si può salire alla sala del primo piano con focolare in pietra oya oppure accedere alla cucina e alla sala da pranzo. Salendo qualche gradino si raggiunge la sala del biliardo, dove, ancora una volta, troviamo un focolare in pietra oya e una delle tipiche nicchie da caminetto inventate da Wright. A livello del mezzanino due gallerie incorniciate da forme romboidali si affacciano sulla sala da ogni lato. Salendo ancora di un piano, si trovano le camere da letto.
Curata con amore dalla famiglia Kachi per diverse generazioni, la casa oggi è gestita dal fondo nazionale giapponese per i monumenti, che occasionalmente la apre al pubblico.
2. Antonin Raymond: un innovativo modernista, sostenitore del dialogo Oriente-Occidente
Un altro allievo che frequentò Wright in Giappone fu Antonin Raymond, cittadino ceco naturalizzato americano. Assieme alla moglie francese Noémi, nel 1916 Raymond realizzò il sogno di lavorare accanto al celebre maestro statunitense a Taliesin, collaborando alla progettazione di case costruite secondo il Modello Americano (che avrebbero preceduto le case Usoniane di Wright) e ai prospetti realizzati per l’Imperial Hotel. Da Wright, Raymond e la moglie impararono ad apprezzare i principi dell’estetica giapponese basati sull’eliminazione del superfluo e sulla fluida relazione tra essere umano e natura. Quando Wright, nel 1919, invitò la coppia a collaborare al progetto dell’Imperial Hotel, i due aderirono con entusiasmo.
La coppia di architetti in realtà lavorò all’hotel soltanto per un anno, ma avrebbe passato oltre quarant’anni in Giappone, realizzando più di quattrocento progetti. Come Wright, Raymond disegnava anche gli arredi e le lampade. Aveva una visione personale dei principi dell’architettura organica: un edificio dovrebbe essere semplice, onesto, diretto, economico e naturale. Quando uscì dall’ombra del grande maestro, Raymond cominciò a sperimentare l’uso sul luogo del cemento armato, modulandolo in conformità alle caratteristiche della casa tradizionale giapponese in legno.
Raymond si trovò presto a veicolare le ultime tendenze dell’architettura occidentale, anche grazie al fatto che nel suo studio lavoravano giovani progettisti giapponesi appena tornati da oltreoceano. Assieme a collaboratori come Junzo Yoshimura e Kunio Maekawa (che aveva lavorato per due anni a Parigi a fianco di Le Corbusier), Raymond seguì le orme del suo mentore, aprendo nuove strade alla tradizione locale. Questo gruppo di architetti, nei primi anni Trenta, sviluppò quindi in Giappone una corrente modernista basata sullo scambio Oriente-Occidente del tutto creativa e originale.
Situato sul fianco di una ripida collina, l’edificio si distingue per i suoi volumi incrociati, che creano un insieme complesso e davvero interessante, con effetti simili a quelli creati per Casa Yamamura. Dall’ingresso, si può salire alla sala del primo piano con focolare in pietra oya oppure accedere alla cucina e alla sala da pranzo. Salendo qualche gradino si raggiunge la sala del biliardo, dove, ancora una volta, troviamo un focolare in pietra oya e una delle tipiche nicchie da caminetto inventate da Wright. A livello del mezzanino due gallerie incorniciate da forme romboidali si affacciano sulla sala da ogni lato. Salendo ancora di un piano, si trovano le camere da letto.
Curata con amore dalla famiglia Kachi per diverse generazioni, la casa oggi è gestita dal fondo nazionale giapponese per i monumenti, che occasionalmente la apre al pubblico.
2. Antonin Raymond: un innovativo modernista, sostenitore del dialogo Oriente-Occidente
Un altro allievo che frequentò Wright in Giappone fu Antonin Raymond, cittadino ceco naturalizzato americano. Assieme alla moglie francese Noémi, nel 1916 Raymond realizzò il sogno di lavorare accanto al celebre maestro statunitense a Taliesin, collaborando alla progettazione di case costruite secondo il Modello Americano (che avrebbero preceduto le case Usoniane di Wright) e ai prospetti realizzati per l’Imperial Hotel. Da Wright, Raymond e la moglie impararono ad apprezzare i principi dell’estetica giapponese basati sull’eliminazione del superfluo e sulla fluida relazione tra essere umano e natura. Quando Wright, nel 1919, invitò la coppia a collaborare al progetto dell’Imperial Hotel, i due aderirono con entusiasmo.
La coppia di architetti in realtà lavorò all’hotel soltanto per un anno, ma avrebbe passato oltre quarant’anni in Giappone, realizzando più di quattrocento progetti. Come Wright, Raymond disegnava anche gli arredi e le lampade. Aveva una visione personale dei principi dell’architettura organica: un edificio dovrebbe essere semplice, onesto, diretto, economico e naturale. Quando uscì dall’ombra del grande maestro, Raymond cominciò a sperimentare l’uso sul luogo del cemento armato, modulandolo in conformità alle caratteristiche della casa tradizionale giapponese in legno.
Raymond si trovò presto a veicolare le ultime tendenze dell’architettura occidentale, anche grazie al fatto che nel suo studio lavoravano giovani progettisti giapponesi appena tornati da oltreoceano. Assieme a collaboratori come Junzo Yoshimura e Kunio Maekawa (che aveva lavorato per due anni a Parigi a fianco di Le Corbusier), Raymond seguì le orme del suo mentore, aprendo nuove strade alla tradizione locale. Questo gruppo di architetti, nei primi anni Trenta, sviluppò quindi in Giappone una corrente modernista basata sullo scambio Oriente-Occidente del tutto creativa e originale.
Villa dell’Ambasciata italiana, Antonin Raymond
La Villa dell’Ambasciata italiana, realizzata da Raymond sulle rive del Lago Chuzenji a Nikko ‒ una famosa località di vacanze (oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco) ‒ è la seconda struttura in legno realizzata dall’architetto. Costruita nel 1929, quando Raymond cominciava a fare sperimentazioni con contaminazioni della tradizione giapponese, questa villa vede l’architetto impegnato, per una volta, a impiegare materiali del posto. Per il rivestimento Raymond utilizzò corteccia di cedro, cui ricorse anche per i soffitti e per le pareti interne nel perfetto stile ajiro-ori (che prevedeva appunto l’utilizzo di strisce di corteccia di cedro incrociate, NdT) delle chashitsu (le case da tè). In questo modo l’architetto riuscì a creare un insieme affascinante di motivi e a integrare la struttura con lo scenario naturale circostante. La sala al centro della villa ha un focolare in pietra rustico, mentre un portico utilizzabile per gran parte dell’anno offre una vista strepitosa sul lago e le montagne intorno.
La Villa dell’Ambasciata italiana, realizzata da Raymond sulle rive del Lago Chuzenji a Nikko ‒ una famosa località di vacanze (oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco) ‒ è la seconda struttura in legno realizzata dall’architetto. Costruita nel 1929, quando Raymond cominciava a fare sperimentazioni con contaminazioni della tradizione giapponese, questa villa vede l’architetto impegnato, per una volta, a impiegare materiali del posto. Per il rivestimento Raymond utilizzò corteccia di cedro, cui ricorse anche per i soffitti e per le pareti interne nel perfetto stile ajiro-ori (che prevedeva appunto l’utilizzo di strisce di corteccia di cedro incrociate, NdT) delle chashitsu (le case da tè). In questo modo l’architetto riuscì a creare un insieme affascinante di motivi e a integrare la struttura con lo scenario naturale circostante. La sala al centro della villa ha un focolare in pietra rustico, mentre un portico utilizzabile per gran parte dell’anno offre una vista strepitosa sul lago e le montagne intorno.
Foto © Nikko Natural Museum
Con il tempo, passarono i fasti del Lago Chuzenji, e, nel 1997, l’ambasciata italiana vendette l’immobile alla Prefettura di Tochigi, che dapprima intraprese un intervento di ristrutturazione che durò due anni, e poi aprì la struttura al pubblico.
Con il tempo, passarono i fasti del Lago Chuzenji, e, nel 1997, l’ambasciata italiana vendette l’immobile alla Prefettura di Tochigi, che dapprima intraprese un intervento di ristrutturazione che durò due anni, e poi aprì la struttura al pubblico.
Foto per gentile concessione di Koichi Kitazawa
Casa Estiva, Antonin Raymond
Traendo ispirazioni dalla mai realizzata Casa Errazuris di Le Corbusier, nel 1933, Raymond avrebbe realizzato una memorabile fusione poetica tra Oriente e Occidente in una casa per vacanze-studio a Karuizawa. Eretto su solide fondamenta in cemento, l’edificio in legno era coperto da un tetto in larice e paglia. La pianta a forma di T non era interrotta da pareti interne, mentre le tradizionali porte scorrevoli giapponesi (hikido) rendevano possibile un costante dialogo tra interni ed esterni. Sfortunatamente la Casa Estiva è stata spostata e modificata in maniera sostanziale. Oggi è aperta al pubblico come Museo Peynet.
3. Kameki Tsuchiura, pioniere della “Standardizzazione”
Kameki Tsuchiura appartiene alla prima generazione degli allievi di Wright: il giovane architetto cominciò a lavorare con il maestro sul progetto dell’Imperial Hotel nel 1921, quando era ancora studente. Quando, l’anno successivo, Wright lasciò il Giappone, Tsuchiura e sua moglie Nobu lo seguirono. La coppia stette vicino a Wright per due anni, sia a Los Angeles che a Taliesin, portando a termine i disegni per le textile-block houses (“case di blocchi intessuti”, così chiamate per le trame della muratura create da blocchi di cemento, NdT) ‒ come le case Storer, Freeman ed Ennis ‒ e per altri progetti. I due legarono in particolare con giovani colleghi come R.M. Schindler, Werner Moser e Richard Neutra.
Dopo il ritorno in Giappone, nel 1926, Tsuchiura rimase fedele ai canoni dell’architettura di Wright, e, concentrato sul miglioramento delle condizioni abitative delle case, il progettista abbracciò gradualmente l’emergente Stile Internazionale per i suoi aspetti funzionali, razionali ed economici. Traendo spunto dalle textile-block houses, l’architetto era alla ricerca di una sorta si “standardizzazione” e di una maggiore efficienza, sostituendo i blocchi con pannelli in cartongesso appesi a cornici in legno.
Casa Estiva, Antonin Raymond
Traendo ispirazioni dalla mai realizzata Casa Errazuris di Le Corbusier, nel 1933, Raymond avrebbe realizzato una memorabile fusione poetica tra Oriente e Occidente in una casa per vacanze-studio a Karuizawa. Eretto su solide fondamenta in cemento, l’edificio in legno era coperto da un tetto in larice e paglia. La pianta a forma di T non era interrotta da pareti interne, mentre le tradizionali porte scorrevoli giapponesi (hikido) rendevano possibile un costante dialogo tra interni ed esterni. Sfortunatamente la Casa Estiva è stata spostata e modificata in maniera sostanziale. Oggi è aperta al pubblico come Museo Peynet.
3. Kameki Tsuchiura, pioniere della “Standardizzazione”
Kameki Tsuchiura appartiene alla prima generazione degli allievi di Wright: il giovane architetto cominciò a lavorare con il maestro sul progetto dell’Imperial Hotel nel 1921, quando era ancora studente. Quando, l’anno successivo, Wright lasciò il Giappone, Tsuchiura e sua moglie Nobu lo seguirono. La coppia stette vicino a Wright per due anni, sia a Los Angeles che a Taliesin, portando a termine i disegni per le textile-block houses (“case di blocchi intessuti”, così chiamate per le trame della muratura create da blocchi di cemento, NdT) ‒ come le case Storer, Freeman ed Ennis ‒ e per altri progetti. I due legarono in particolare con giovani colleghi come R.M. Schindler, Werner Moser e Richard Neutra.
Dopo il ritorno in Giappone, nel 1926, Tsuchiura rimase fedele ai canoni dell’architettura di Wright, e, concentrato sul miglioramento delle condizioni abitative delle case, il progettista abbracciò gradualmente l’emergente Stile Internazionale per i suoi aspetti funzionali, razionali ed economici. Traendo spunto dalle textile-block houses, l’architetto era alla ricerca di una sorta si “standardizzazione” e di una maggiore efficienza, sostituendo i blocchi con pannelli in cartongesso appesi a cornici in legno.
Foto © Wasaku Kuno
Casa Tsuchiura, Kameki Tsuchiura
Nel 1935, Kameki Tsuchiura costruì quella che sarebbe stata la sua opera residenziale più conosciuta: la sua stessa abitazione nella parte ovest di Tokyo. Gli spazi verticali interconnessi che troviamo all’interno, le doppie altezze della sala e l’interazione di questo ambiente con il giardino circostante devono molto a Wright, anche se la casa resta comunque decisamente una “scatola bianca” modernista (sebbene con allegri tocchi di colore sparsi qua e là). Tsuchiura optò per il tetto piatto, preferendolo al tradizionale tetto a spigolo che ben si confaceva al clima umido del paese, in nome di una rottura con la tradizione.
Casa Tsuchiura, Kameki Tsuchiura
Nel 1935, Kameki Tsuchiura costruì quella che sarebbe stata la sua opera residenziale più conosciuta: la sua stessa abitazione nella parte ovest di Tokyo. Gli spazi verticali interconnessi che troviamo all’interno, le doppie altezze della sala e l’interazione di questo ambiente con il giardino circostante devono molto a Wright, anche se la casa resta comunque decisamente una “scatola bianca” modernista (sebbene con allegri tocchi di colore sparsi qua e là). Tsuchiura optò per il tetto piatto, preferendolo al tradizionale tetto a spigolo che ben si confaceva al clima umido del paese, in nome di una rottura con la tradizione.
«Ho visitato per la prima volta Casa Tsuchiura a circa sette anni», ricorda il premio Pritzker Fumihiko Maki. «Non dimenticherò mai il momento in cui ho messo piede all’interno e ho avuto esperienza di quello spazio. Ha provocato in me una sensazione che non avrei mai più potuto scordare. L’articolazione degli spazi di quella casa ‒ unica ‒ era influenzata da Wright, ma credo che materiali e linguaggio possano essere considerati a tutti gli effetti un perfetto esempio di modernismo».
La carriera di Tsuchiura decollò poi per gli edifici commerciali, ma il “modernismo contaminato” dei suoi progetti residenziali avrebbe assunto significativo rilievo.
4. Yoshiya Tanoue, il padre del modernismo di Hokkaido
Un altro discepolo della prima ora, Yoshiya Tanoue, continuò a lavorare sull’Imperial Hotel dopo la partenza di Wright ed era con Arata Endo quando nel 1923 ci fu il devastante terremoto del Kanto, proprio nel giorno della grande inaugurazione dell’hotel. Tanoue decise di spostarsi a nord, a Hokkaido. Wright scrisse con toni incoraggianti: «Il tuo paese ha bisogno del lavoro di figli dotati di una coscienza “risvegliata” in architettura. Se io sono riuscito a ottenere questo con alcuni di voi, stai certo che ve ne sarò grato. In ogni grande impresa, non c’è contributo che sia insignificante».
Nel 1924, Tanoue aprì uno studio a Sapporo. I suoi lavori precedenti mostrano le tracce dell’influenza di Wright nelle forme dei tetti, nelle decorazioni geometriche e nelle magnifiche finestre a “schermo di luce”. Tuttavia, negli anni Trenta, l’architetto cominciò a sviluppare un linguaggio vernacolare da “paese della neve”, progettando case che prendevano in considerazione il fattore climatico locale. Così, ottocento edifici dopo, Tanoue è oggi considerato il padre dell’architettura moderna di Hokkaido.
La carriera di Tsuchiura decollò poi per gli edifici commerciali, ma il “modernismo contaminato” dei suoi progetti residenziali avrebbe assunto significativo rilievo.
4. Yoshiya Tanoue, il padre del modernismo di Hokkaido
Un altro discepolo della prima ora, Yoshiya Tanoue, continuò a lavorare sull’Imperial Hotel dopo la partenza di Wright ed era con Arata Endo quando nel 1923 ci fu il devastante terremoto del Kanto, proprio nel giorno della grande inaugurazione dell’hotel. Tanoue decise di spostarsi a nord, a Hokkaido. Wright scrisse con toni incoraggianti: «Il tuo paese ha bisogno del lavoro di figli dotati di una coscienza “risvegliata” in architettura. Se io sono riuscito a ottenere questo con alcuni di voi, stai certo che ve ne sarò grato. In ogni grande impresa, non c’è contributo che sia insignificante».
Nel 1924, Tanoue aprì uno studio a Sapporo. I suoi lavori precedenti mostrano le tracce dell’influenza di Wright nelle forme dei tetti, nelle decorazioni geometriche e nelle magnifiche finestre a “schermo di luce”. Tuttavia, negli anni Trenta, l’architetto cominciò a sviluppare un linguaggio vernacolare da “paese della neve”, progettando case che prendevano in considerazione il fattore climatico locale. Così, ottocento edifici dopo, Tanoue è oggi considerato il padre dell’architettura moderna di Hokkaido.
Casa Oguma, Yoshiya Tanoue
Situata ai piedi del monte Moiwayama di Sapporo, la lussuosa Casa Oguma è stata costruita da Tanoue nel 1927. Dato che sul lato nord la casa affaccia sui binari della ferrovia, l’architetto ha sistemato cucina e spazi funzionali da quella parte dell’edificio. La porta di ingresso apre su una grande stanza, con vetri piombati a doppia altezza. Le linee orizzontali della struttura in legno a due piani e la pianta cruciforme sono classici temi dell’architettura di Wright, ma Tanoue a poco a poco elaborò un proprio stile personale, che si esprimeva in lampade dalle forme geometriche e finestre piccole e decorate.
Situata ai piedi del monte Moiwayama di Sapporo, la lussuosa Casa Oguma è stata costruita da Tanoue nel 1927. Dato che sul lato nord la casa affaccia sui binari della ferrovia, l’architetto ha sistemato cucina e spazi funzionali da quella parte dell’edificio. La porta di ingresso apre su una grande stanza, con vetri piombati a doppia altezza. Le linee orizzontali della struttura in legno a due piani e la pianta cruciforme sono classici temi dell’architettura di Wright, ma Tanoue a poco a poco elaborò un proprio stile personale, che si esprimeva in lampade dalle forme geometriche e finestre piccole e decorate.
Foto © Yukihiro Kado
Gli spazi della zona living sono disposti a sud in modo da assorbire il calore del sole nei lunghi mesi invernali. Al secondo piano, un atelier artistico si caratterizza poi per grandi vetrate e prominenti travi in legno: i primi tentativi da parte di Tanoue di adattare e localizzare la sua architettura.
Cosa abbastanza rara per un edificio storico in Giappone, questa casa è stata salvata grazie alla mobilitazione di un gruppo di cittadini, e ristrutturata fedelmente nel 1998. Oggi accoglie il famoso coffee shop Lloyd’s.
Gli spazi della zona living sono disposti a sud in modo da assorbire il calore del sole nei lunghi mesi invernali. Al secondo piano, un atelier artistico si caratterizza poi per grandi vetrate e prominenti travi in legno: i primi tentativi da parte di Tanoue di adattare e localizzare la sua architettura.
Cosa abbastanza rara per un edificio storico in Giappone, questa casa è stata salvata grazie alla mobilitazione di un gruppo di cittadini, e ristrutturata fedelmente nel 1998. Oggi accoglie il famoso coffee shop Lloyd’s.
Foto © Yukihiro Kado
Casa Sada, Yoshiya Tanoue
Casa Sada, situata vicino alla baia di Hakodate, a sud di Hokkaido, fu costruita nel 1928 per un commerciante di prodotti di mare. L’edificio a due piani in cemento e legno ha due ingressi: uno affaccia sulla strada e l’altro dà su una scala che porta alla camera degli ospiti al secondo piano. La struttura a L è stata concepita in modo da offrire un ampio panorama sul golfo circostante ma anche sul giardino della casa, con una particolare stanza di ingresso ottagonale nella quale, da ben tre lati, attraverso i vetri piombati entrano i raggi di sole. La sala in stile occidentale ha un enorme focolare. Al primo piano troviamo anche tre tradizionali camere con tatami e classiche partizioni shoji.
Casa Sada, Yoshiya Tanoue
Casa Sada, situata vicino alla baia di Hakodate, a sud di Hokkaido, fu costruita nel 1928 per un commerciante di prodotti di mare. L’edificio a due piani in cemento e legno ha due ingressi: uno affaccia sulla strada e l’altro dà su una scala che porta alla camera degli ospiti al secondo piano. La struttura a L è stata concepita in modo da offrire un ampio panorama sul golfo circostante ma anche sul giardino della casa, con una particolare stanza di ingresso ottagonale nella quale, da ben tre lati, attraverso i vetri piombati entrano i raggi di sole. La sala in stile occidentale ha un enorme focolare. Al primo piano troviamo anche tre tradizionali camere con tatami e classiche partizioni shoji.
Foto © Yukihiro Kado
La residenza è un importante monumento nazionale, aperto nei mesi tra la primavera e l’autunno sotto l’insegna del coffee shop Hiyori.
Altri Ideabook della serie Design dal Mondo
La residenza è un importante monumento nazionale, aperto nei mesi tra la primavera e l’autunno sotto l’insegna del coffee shop Hiyori.
Altri Ideabook della serie Design dal Mondo
L’architettura organica di Wright
Fin dagli inizi dell’attività, nel 1893, a Chicago, Wright sviluppò il suo concetto di architettura organica, caratterizzata dalla filosofia giapponese dell’“eliminazione del superfluo”. Le sue prairie houses (le case della prateria) avevano innegabili similitudini con le abitazioni tradizionali giapponesi – la dimensione umana, la relativa semplicità, i caldi toni terrosi e il rispetto per i materiali naturali, l’integrazione di interni ed esterni ‒ ma con queste condividevano ben poco altro.