Chi Sono i Biodesigner e Cosa Fanno?
Funghi, insetti e batteri sono i nuovi materiali di domani. Parola di 5 designer d'eccezione
Oggi sembra fantascienza, domani potrebbe rappresentare la normalità. Nell’ultima frontiera del design di prodotto, il biodesign, la creazione di mobili e oggetti è realizzata utilizzando organismi viventi.
Spesso giovanissimi ma già con una solida formazione interdisciplinare alle spalle, i biodesigner studiano le potenzialità di insetti, alghe, batteri, piante per sperimentare soluzioni ecocompatibili, capaci di rispondere alla crisi ambientale attraverso una materia organica da plasmare secondo le necessità. Per capire cosa sia e quali opportunità offra il biodesign, abbiamo interrogato cinque tra i più promettenti progettisti del settore, che hanno raccontato a Houzz motivazioni, risultati ed opportunità di questo campo in divenire.
Spesso giovanissimi ma già con una solida formazione interdisciplinare alle spalle, i biodesigner studiano le potenzialità di insetti, alghe, batteri, piante per sperimentare soluzioni ecocompatibili, capaci di rispondere alla crisi ambientale attraverso una materia organica da plasmare secondo le necessità. Per capire cosa sia e quali opportunità offra il biodesign, abbiamo interrogato cinque tra i più promettenti progettisti del settore, che hanno raccontato a Houzz motivazioni, risultati ed opportunità di questo campo in divenire.
Nell’immagine, il dettaglio della texture di una serie di vasi realizzati da Marlène Huissoud a partire dalla cera d’api
Cocoon Wardrobe. Credit: Studio Marlene Huissoud
La preoccupazione per lo stato di salute dell’ecosistema è certamente una motivazione centrale che guida il lavoro della Huissoud come di altri designer.
«La natura è tutta intorno a noi. E a volte ci dimentichiamo di Lei. Il biodesign cerca nuove modalità di produzione attraverso la messa in discussione delle nostre forme di creazione e consumo. A volte i risultati del lavoro dei biodesigner possono apparire un po’ folli al grande pubblico, ma queste pratiche sono essenziali per connettere la società ad un migliore comprensione della natura in generale».
Ne è un esempio Cocoon, il mobile contenitore che vediamo in questa immagine. La sua configurazione è l’esito di una ricerca che ha esplorato nuovi modi di utilizzare i bozzoli dei bachi da seta senza ucciderli, come generalmente avviene durante il processo di produzione della seta. Il pezzo è stato realizzato accumulando migliaia di bozzoli di bachi da seta che vengono poi protetti e verniciati da una bioresina in cera d’api. Il lungo lasso di tempo necessario alla realizzazione del pezzo vuole sottolineare no solo la bellezza del mondo degli insetti, ma anche quella dei processi lenti.
La preoccupazione per lo stato di salute dell’ecosistema è certamente una motivazione centrale che guida il lavoro della Huissoud come di altri designer.
«La natura è tutta intorno a noi. E a volte ci dimentichiamo di Lei. Il biodesign cerca nuove modalità di produzione attraverso la messa in discussione delle nostre forme di creazione e consumo. A volte i risultati del lavoro dei biodesigner possono apparire un po’ folli al grande pubblico, ma queste pratiche sono essenziali per connettere la società ad un migliore comprensione della natura in generale».
Ne è un esempio Cocoon, il mobile contenitore che vediamo in questa immagine. La sua configurazione è l’esito di una ricerca che ha esplorato nuovi modi di utilizzare i bozzoli dei bachi da seta senza ucciderli, come generalmente avviene durante il processo di produzione della seta. Il pezzo è stato realizzato accumulando migliaia di bozzoli di bachi da seta che vengono poi protetti e verniciati da una bioresina in cera d’api. Il lungo lasso di tempo necessario alla realizzazione del pezzo vuole sottolineare no solo la bellezza del mondo degli insetti, ma anche quella dei processi lenti.
Technofossils, un progetto di Gionata Gatto per la galleria milanese Subalterno1. La tecnica del leaf clearing, usata in paleontologia, è utilizzata per mettere in risalto le venature dell’apparato fogliare
Gionata Gatto: vi spiego cos’è il “design multispecie”
Di stanza a Dubai dopo un lungo periodo in Olanda, l’italiano Gionata Gatto è il pioniere del “Design Multispecie”, una teoria che lui stesso ha elaborato attraverso la sua tesi di dottorato. Ce la racconta così: «L’idea parte dal fatto che il concetto di sostenibilità, sin dagli anni ‘80, è stato sfruttato da designer ed architetti per affrontare problemi legati all’emergere dell’attuale crisi ambientale. Se questo, da un lato, ha contribuito a generare approcci progettuali in grado di mitigare l’impatto dell’uomo sul pianeta, poco è stato fatto per esplorare la sostenibilità come concetto che va al di là dell’antropocentrismo. Il Design Multispecie propone di esaminare questioni ambientali prendendo in considerazione punti di vista altro-che-umani, nel tentativo di progettare scenari meno tecnocentrici e più inclusivi nei confronti dell’ambiente e di chi lo popola. Così, piante animali, batteri, funghi, o addirittura virus possono diventare non soltanto ‘clienti’ di un progetto, ma anche veri e propri partner progettuali».
Gionata Gatto: vi spiego cos’è il “design multispecie”
Di stanza a Dubai dopo un lungo periodo in Olanda, l’italiano Gionata Gatto è il pioniere del “Design Multispecie”, una teoria che lui stesso ha elaborato attraverso la sua tesi di dottorato. Ce la racconta così: «L’idea parte dal fatto che il concetto di sostenibilità, sin dagli anni ‘80, è stato sfruttato da designer ed architetti per affrontare problemi legati all’emergere dell’attuale crisi ambientale. Se questo, da un lato, ha contribuito a generare approcci progettuali in grado di mitigare l’impatto dell’uomo sul pianeta, poco è stato fatto per esplorare la sostenibilità come concetto che va al di là dell’antropocentrismo. Il Design Multispecie propone di esaminare questioni ambientali prendendo in considerazione punti di vista altro-che-umani, nel tentativo di progettare scenari meno tecnocentrici e più inclusivi nei confronti dell’ambiente e di chi lo popola. Così, piante animali, batteri, funghi, o addirittura virus possono diventare non soltanto ‘clienti’ di un progetto, ma anche veri e propri partner progettuali».
Geomerce, un progetto di Gionata Gatto e Giovanni Innella. Il sistema idroponico ospita una pianta che accumula nelle sue radici molti metalli pesanti, trasformandosi in un sistema di stoccaggio. Alcuni sensori rilevano la performance estrattiva della pianta
Il presupposto culturale da mettere a fuoco, dunque, consiste nel rovesciare il primato accordato all’uomo come destinatario privilegiato di ogni progetto: tutte le forme viventi meritano un’attenzione inclusiva e possono essere coinvolte come agenti produttivi a favore di un processo finalmente rispettoso delle diverse forme di vita dell’ecosistema.
«Il tentativo, su un livello più alto, è quello di arrivare a comprendere la sostenibilità non soltanto come risultato di un processo progettuale, ma prima di tutto come atteggiamento comportamentale orientato a coltivare la reciprocità, e il design come naturale implementazione di tale atteggiamento. Tutto questo anche nella speranza, un giorno, di migliorare la nostra comprensione dei territori dell’Antropocene».
Gatto lavora oggi al Dubai Institute of Design and Innovation (DIDI), dove è incaricato d progettare un nuovo curriculum universitario che comprende anche un corso di More-Than-Human Factors. Parallelamente, sta lavorando al progetto Vegetal Rescuers, un’installazione sul rapporto uomo-pianta di cui vedremo i primi esiti nell’estate di quest’anno.
Il presupposto culturale da mettere a fuoco, dunque, consiste nel rovesciare il primato accordato all’uomo come destinatario privilegiato di ogni progetto: tutte le forme viventi meritano un’attenzione inclusiva e possono essere coinvolte come agenti produttivi a favore di un processo finalmente rispettoso delle diverse forme di vita dell’ecosistema.
«Il tentativo, su un livello più alto, è quello di arrivare a comprendere la sostenibilità non soltanto come risultato di un processo progettuale, ma prima di tutto come atteggiamento comportamentale orientato a coltivare la reciprocità, e il design come naturale implementazione di tale atteggiamento. Tutto questo anche nella speranza, un giorno, di migliorare la nostra comprensione dei territori dell’Antropocene».
Gatto lavora oggi al Dubai Institute of Design and Innovation (DIDI), dove è incaricato d progettare un nuovo curriculum universitario che comprende anche un corso di More-Than-Human Factors. Parallelamente, sta lavorando al progetto Vegetal Rescuers, un’installazione sul rapporto uomo-pianta di cui vedremo i primi esiti nell’estate di quest’anno.
Mykes, Mycelium Chair di Officina Corpuscoli, The Growing Lab Mycelia. ©OfficinaCorpuscoli
Maurizio Montalti: e se usassimo i funghi come materiale da costruzione?
Un altro italiano di stanza ad Amsterdam è una delle voci più riconosciute a livello internazionale quando si tratta di progettare insieme ai… funghi. Da quasi una decade, Maurizio Montalti studia le applicazioni dei miceli per la realizzazione di materiali con le applicazioni più diversificate.
Chiediamo a Maurizio come sia possibile da un punto di vista tecnico far crescere funghi per “costruire cose”. Ci risponde così:
«Al cuore del processo c’è la produzione di un materiale composito, un mix tra un substrato legno-cellulosico e una biomassa fungina. Per ottenerlo, valorizziamo alcuni materiali di risulta di altre filiere, ad esempio quella agroindustriale o del mobile, dandoli letteralmente in pasto ai funghi e creando le condizioni per cui il fungo possa crescere su quel terreno nutritivo. I nostri materiali sono dunque ingegnerizzati a partire dalla biologia: controllandone le caratteristiche tecno-meccaniche e quelle esperienziali, ossia relative al tatto e alla texture, arriviamo a produrre dei materiali da commercializzare» .
Maurizio Montalti: e se usassimo i funghi come materiale da costruzione?
Un altro italiano di stanza ad Amsterdam è una delle voci più riconosciute a livello internazionale quando si tratta di progettare insieme ai… funghi. Da quasi una decade, Maurizio Montalti studia le applicazioni dei miceli per la realizzazione di materiali con le applicazioni più diversificate.
Chiediamo a Maurizio come sia possibile da un punto di vista tecnico far crescere funghi per “costruire cose”. Ci risponde così:
«Al cuore del processo c’è la produzione di un materiale composito, un mix tra un substrato legno-cellulosico e una biomassa fungina. Per ottenerlo, valorizziamo alcuni materiali di risulta di altre filiere, ad esempio quella agroindustriale o del mobile, dandoli letteralmente in pasto ai funghi e creando le condizioni per cui il fungo possa crescere su quel terreno nutritivo. I nostri materiali sono dunque ingegnerizzati a partire dalla biologia: controllandone le caratteristiche tecno-meccaniche e quelle esperienziali, ossia relative al tatto e alla texture, arriviamo a produrre dei materiali da commercializzare» .
Mogu Home, campioni di materiali realizzati in micelio, ©MOGU
Attivo da anni con il proprio studio, Officina Corpuscoli, Montalti ha aperto in Italia una società, MOGU, che si occupa della commercializzazione delle proprie ricerche ed è specializzata proprio nel campo dell’interior design. Esistono delle applicazioni privilegiate che possiamo testare con i miceli?
«The sky is the limit» afferma Montalti, «le applicazioni possibili sono tantissime. Con MOGU ad esempio abbiamo iniziato a produrre prodotti acustici fonoassorbenti per interni. Adesso stiamo mettendo a punto i pavimenti resilienti, con una durata certificata di vent’anni minimi, dove la parte interna della piastrella è fatta di un composito da micelio, mentre l’esterno è una bio-resina esterna che abbiamo sviluppato in azienda. Il materiale naturale è pienamente circolare: nasce da uno scarto e alla fine del suo ciclo di vita può essere compostato».
Attivo da anni con il proprio studio, Officina Corpuscoli, Montalti ha aperto in Italia una società, MOGU, che si occupa della commercializzazione delle proprie ricerche ed è specializzata proprio nel campo dell’interior design. Esistono delle applicazioni privilegiate che possiamo testare con i miceli?
«The sky is the limit» afferma Montalti, «le applicazioni possibili sono tantissime. Con MOGU ad esempio abbiamo iniziato a produrre prodotti acustici fonoassorbenti per interni. Adesso stiamo mettendo a punto i pavimenti resilienti, con una durata certificata di vent’anni minimi, dove la parte interna della piastrella è fatta di un composito da micelio, mentre l’esterno è una bio-resina esterna che abbiamo sviluppato in azienda. Il materiale naturale è pienamente circolare: nasce da uno scarto e alla fine del suo ciclo di vita può essere compostato».
The Growing Lab_Mycelia, ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti. Oggetti per la tavola realizzati in micelio
Mogu Leather, prototipi di scarpe realizzate in ecopelle sviluppata a partire da un fungo ©MOGU
L’attenzione da parte di industria, partner commerciali e finanziatori, conferma Montalti, in questi ultimi anni è cresciuta a ritmi considerevoli. Oltre al campo del mobile, c’è anche la moda che bussa alla porta, attenta – a cominciare dai grandi gruppi del lusso – a scovare quelle soluzioni che le permettano realmente di virare verso una produzione sostenibile.
«A livello generale, la ricerca e sviluppo necessaria per immettere un prodotto sul mercato è significativa: se si vuole funzionalizzare un materiale partendo dalla biologia, che è la forma di tecnologia più avanzata, non si può pensare di improvvisare».
L’attenzione da parte di industria, partner commerciali e finanziatori, conferma Montalti, in questi ultimi anni è cresciuta a ritmi considerevoli. Oltre al campo del mobile, c’è anche la moda che bussa alla porta, attenta – a cominciare dai grandi gruppi del lusso – a scovare quelle soluzioni che le permettano realmente di virare verso una produzione sostenibile.
«A livello generale, la ricerca e sviluppo necessaria per immettere un prodotto sul mercato è significativa: se si vuole funzionalizzare un materiale partendo dalla biologia, che è la forma di tecnologia più avanzata, non si può pensare di improvvisare».
Ambio (2014), una lampada bioluminescente che non è alimentata da elettricità bensì da batteri, i quali devono essere nutriti una volta alla settimana con dell’acqua in cui è stato diluito dell’acetato. Foto: Hans Boddeke
Teresa Van Dongen: creare la luce grazie ai batteri
Oltre ai funghi, un altro insospettabile campo di applicazione per una vasta gamma di processi artigianali e industriali è quello dei batteri. Diagnosi delle malattie, produzione tintura nell’industria tessile: le loro applicazioni virtuose sono realmente innumerevoli e molto promettenti.
Tra le prime ad interessarsi a questa sperimentazione, l’olandese Teresa Van Dongen ha lavorato sulle applicazioni di questi piccolissimi microrganismi nel campo dell’illuminotecnica.
Teresa Van Dongen: creare la luce grazie ai batteri
Oltre ai funghi, un altro insospettabile campo di applicazione per una vasta gamma di processi artigianali e industriali è quello dei batteri. Diagnosi delle malattie, produzione tintura nell’industria tessile: le loro applicazioni virtuose sono realmente innumerevoli e molto promettenti.
Tra le prime ad interessarsi a questa sperimentazione, l’olandese Teresa Van Dongen ha lavorato sulle applicazioni di questi piccolissimi microrganismi nel campo dell’illuminotecnica.
Lumist (2014) è un oggetto illuminante realizzato da Teresa Van Dongen che funziona anche da diffusore. Il calore del bulbo riscalda l’acqua facendola evaporare. Di conseguenza, l’acqua contenuta nel contenitore adiacente si riversa nel diffusore, offrendo una una visualizzazione dell’energia perduta. Foto: Hans Boddeke
Un piede nella biologia e uno nel design, a guidarla è innanzitutto il desiderio di creare delle interfacce tra scoperte scientifiche ed applicazioni nella vita di tutti i giorni. «Molti segreti della natura rimangono sconosciuti e molte scoperte nel campo della scienza non varcano mai le soglie del laboratorio, ci racconta». Dei batteri, sono in pochi a conoscere che ognuno di loro ha un elettrode che raccoglie gli elettroni secreti dal batterio. Se guidati in un circuito elettrico appositamente progettato, si trasformano in una fonte luminosa». Ecco svelato il segreto tecnico dietro alle lampade che realizza dal 2014, dove a generare la luce non è l’elettricità, ma un microorganismo.
Un piede nella biologia e uno nel design, a guidarla è innanzitutto il desiderio di creare delle interfacce tra scoperte scientifiche ed applicazioni nella vita di tutti i giorni. «Molti segreti della natura rimangono sconosciuti e molte scoperte nel campo della scienza non varcano mai le soglie del laboratorio, ci racconta». Dei batteri, sono in pochi a conoscere che ognuno di loro ha un elettrode che raccoglie gli elettroni secreti dal batterio. Se guidati in un circuito elettrico appositamente progettato, si trasformano in una fonte luminosa». Ecco svelato il segreto tecnico dietro alle lampade che realizza dal 2014, dove a generare la luce non è l’elettricità, ma un microorganismo.
Omer Polak: immaginare scenari futuri attraverso gli odori
Tra le tante idee e proposte che alimentano il dibattito sul biodesign, c’è anche chi guarda a questo campo come ambito di ricerca speculativa. Il progetto “Olfactory Forest” dell’israeliano Omer Polak, designer specializzato nello studio della dimensione olfattiva, va in questa direzione. Polak si chiede: «Cosa succederebbe se le foreste scomparissero gradualmente diventando un fenomeno raro che masse di turisti vogliono vedere? Al di là delle terribili conseguenze per la natura, quale sarebbe l’impatto per la nostra salute mentale? Quali le implicazioni sui nostri sensi? Dovremo inventare una natura artificiale per sostenere l’umanità? E questi luoghi diventeranno dei luoghi fiabeschi, come erano un tempo le vere foreste?».
Tra le tante idee e proposte che alimentano il dibattito sul biodesign, c’è anche chi guarda a questo campo come ambito di ricerca speculativa. Il progetto “Olfactory Forest” dell’israeliano Omer Polak, designer specializzato nello studio della dimensione olfattiva, va in questa direzione. Polak si chiede: «Cosa succederebbe se le foreste scomparissero gradualmente diventando un fenomeno raro che masse di turisti vogliono vedere? Al di là delle terribili conseguenze per la natura, quale sarebbe l’impatto per la nostra salute mentale? Quali le implicazioni sui nostri sensi? Dovremo inventare una natura artificiale per sostenere l’umanità? E questi luoghi diventeranno dei luoghi fiabeschi, come erano un tempo le vere foreste?».
L’installazione olfattiva che ha concepito vuole ricreare un mondo perduto di odori. 15 pali in rattan rilasciano ognuno 15 molecole olfattive insieme a suoni che sono stati raccolti in una “vera” foresta, sollecitando l’apparato sensoriale dell’uomo e ricordandogli la ricchezza dell’ambiente naturale.
Un modo, questo, per ricordarci come la progettazione con e attraverso le altre forme biologiche sia un tentativo di dare un nuovo protagonismo alle diverse specie naturali, riconoscendone la centralità. Pur proiettandoci in un mondo che sarà sempre più marcato da un volto artificiale e tecnologicamente avanzato.
Che ne dici? Scrivici nei Commenti qual è la tua opinione sul biodesign.
Altro
Il Futuro dell’Architettura di Interni si Chiama Biofilia?
Un modo, questo, per ricordarci come la progettazione con e attraverso le altre forme biologiche sia un tentativo di dare un nuovo protagonismo alle diverse specie naturali, riconoscendone la centralità. Pur proiettandoci in un mondo che sarà sempre più marcato da un volto artificiale e tecnologicamente avanzato.
Che ne dici? Scrivici nei Commenti qual è la tua opinione sul biodesign.
Altro
Il Futuro dell’Architettura di Interni si Chiama Biofilia?
Marlène Huissoud: sperimentare con gli insetti
Francese trapiantata a Londra, Marlène Huissoud è da tempo una delle voci più apprezzate nel campo della sperimentazione nel biodesign. Nata in una famiglia di apicoltori, è in questo contesto che ha maturato l’ispirazione per rivalutare la materia di scarto prodotta da questi animali, ripensandola come un materiale pieno di potenzialità.
È lei stessa a introdurci alla specificità del suo lavoro. «Nella mia pratica mi focalizzo sugli insetti, studiando come utilizzarli per produrre materiali e per celebrare così l’importanza della biodiversità. Recentemente ho sviluppato delle case per insetti per aiutarli a trovare rifugio all’interno dell"ambiente umano. Come umani abbiamo preso molto spazio ed è importante considerare il rispetto che dobbiamo alle altre specie sul pianeta. Considerare altre modalità per ripensare la nostra coabitazione è essenziale».