Architettura e design
Perché Non Amiamo i Corridoi? I Segreti della Neuroarchitettura
Perché amiamo le curve e un luogo stretto ci mette a disagio? La neuroarchitettura spiega come reagisce il cervello
Vi siete mai sentiti in soggezione o, peggio, intrappolati in una stanza o in un edificio? Era forse un corridoio stretto, privo di una via di uscita visibile? O, magari, vi trovavate in un ambiente scarsamente illuminato, con il soffitto basso e un’atmosfera oppressiva? O, ancora, vi è mai capitato di provare una sensazione di sbigottimento e meraviglia nel guardare o nel camminare in un palazzo? Se avete visitato un’opera architettonica antica, come il Pantheon di Roma o il tempio di Angkor Wat in Cambogia, ci sono ottime probabilità che conosciate questo genere di percezione.
I progettisti e i costruttori dei tempi antichi avevano un’istintiva conoscenza di quello che è il nocciolo della neuro-architettura, anche se non avevano a disposizione un termine preciso per identificarla e se mancavano loro gli strumenti per averne una misura: le nostre reazioni all’ambiente costruito risalgono agli albori dell’umanità. La novità, oggi, sta nel fatto che possiamo misurare il modo in cui reagiamo ai luoghi, e possiamo cominciare a comprenderne i motivi. Ed è qui che entra in gioco la neuro-architettura.
Che cos’è la neuro-architettura?
La neuro-architettura incrocia due diversi campi del sapere: le neuroscienze e l’architettura. Usando le sempre più vaste conoscenze a nostra disposizione sul funzionamento del cervello umano, questa disciplina mira a indagare le nostre risposte all’ambiente costruito.
«La particolarità della neuro-architettura sta nel fatto che siamo in un’epoca nella quale le nostre conoscenze sul funzionamento del cervello sono così evolute da permetterci di cominciare ad avanzare ipotesi concrete circa le relazioni che lo legano all’architettura e al design», spiega Colin Ellard, che insegna neuroscienze cognitive alla canadese University of Waterloo e ha provato a misurare le risposte del nostro cervello e del nostro corpo a spazi e luoghi diversi.
La neuro-architettura incrocia due diversi campi del sapere: le neuroscienze e l’architettura. Usando le sempre più vaste conoscenze a nostra disposizione sul funzionamento del cervello umano, questa disciplina mira a indagare le nostre risposte all’ambiente costruito.
«La particolarità della neuro-architettura sta nel fatto che siamo in un’epoca nella quale le nostre conoscenze sul funzionamento del cervello sono così evolute da permetterci di cominciare ad avanzare ipotesi concrete circa le relazioni che lo legano all’architettura e al design», spiega Colin Ellard, che insegna neuroscienze cognitive alla canadese University of Waterloo e ha provato a misurare le risposte del nostro cervello e del nostro corpo a spazi e luoghi diversi.
Qual è la particolarità di questa nuova disciplina?
Quasi tutti i movimenti visti in passato nell’architettura e nel design, sono sempre stati, in definitiva, influenzati da stili estetici o filosofie particolari (come il modernismo, il brutalismo, ecc). La neuro-architettura, invece, non si focalizza tanto sull’architettura in sé, quanto piuttosto sui soggetti che ne usufruiscono.
«Uno degli aspetti più interessanti di questa scienza è che oggi abbiamo a disposizione un insieme di strumenti incredibilmente efficaci per misurare le reazioni psicologiche agli spazi e ai luoghi», sostiene Colin Ellard.
Quasi tutti i movimenti visti in passato nell’architettura e nel design, sono sempre stati, in definitiva, influenzati da stili estetici o filosofie particolari (come il modernismo, il brutalismo, ecc). La neuro-architettura, invece, non si focalizza tanto sull’architettura in sé, quanto piuttosto sui soggetti che ne usufruiscono.
«Uno degli aspetti più interessanti di questa scienza è che oggi abbiamo a disposizione un insieme di strumenti incredibilmente efficaci per misurare le reazioni psicologiche agli spazi e ai luoghi», sostiene Colin Ellard.
Come si misurano le nostre risposte a un ambiente costruito?
In équipe con alcuni colleghi, Ellard conduce i suoi studi sia in realtà virtuale (RV) sia in ambienti reali, misurando le reazioni psicologiche delle persone. «Il vantaggio della RV è che possiamo costruire qualsiasi modello vogliamo, ma l’inconveniente sta nel fatto che, a prescindere dalla qualità del rendering, i soggetti sanno che si tratta di un qualcosa di non vero, e ho il sospetto che le loro reazioni non siano che pallidi riflessi di quelle che sono le risposte ai luoghi reali», afferma lo studioso.
In équipe con alcuni colleghi, Ellard conduce i suoi studi sia in realtà virtuale (RV) sia in ambienti reali, misurando le reazioni psicologiche delle persone. «Il vantaggio della RV è che possiamo costruire qualsiasi modello vogliamo, ma l’inconveniente sta nel fatto che, a prescindere dalla qualità del rendering, i soggetti sanno che si tratta di un qualcosa di non vero, e ho il sospetto che le loro reazioni non siano che pallidi riflessi di quelle che sono le risposte ai luoghi reali», afferma lo studioso.
«Tuttavia, in entrambi i tipi di setting ci affidiamo a una serie di strumenti di analisi psicologica tradizionali (ovvero, poniamo molti quesiti e amministriamo molteplici e differenti tipi di test), oltre a utilizzare piccoli sensori indossabili che misurano la frequenza cardiaca, la temperatura corporea e un parametro chiamato “conduttanza cutanea”, che misura la sudorazione ed è un indice dei livelli di eccitazione», spiega Ellard.
«In alcune ricerche abbiamo anche misurato sia le onde cerebrali (ricorrendo a semplici visori che possono essere indossati per strada) sia i movimenti oculari (attraverso degli occhiali dotati di una piccola telecamera puntata sulla pupilla)».
«In alcune ricerche abbiamo anche misurato sia le onde cerebrali (ricorrendo a semplici visori che possono essere indossati per strada) sia i movimenti oculari (attraverso degli occhiali dotati di una piccola telecamera puntata sulla pupilla)».
Come reagiscono il nostro cervello e il nostro corpo? Nella regione dell’ippocampo del nostro cervello sono state individuate delle cellule speciali, dedicate al riconoscimento delle forme geometriche e all’organizzazione dello spazio che ci circonda. Ogni volta che entriamo in una stanza, in una casa, o in un qualsiasi altro tipo di ambiente, queste cellule sono tutte impegnate a navigare e ad archiviare le informazioni di ordine spaziale nella forma di “mappe” cognitive.
Per fare un esperimento, provate a ricordare la sensazione che avete avuto quando vi siete trovati in un luogo nel quale non vi sentivate a vostro agio e desideravate andarvene. Il vostro cuore batteva più forte del solito? Il vostro respiro si è fatto più affannoso? Ebbene, era il vostro ipotalamo, che in quel momento stava dicendo alla ghiandola surrenale di secernere adrenalina e cortisolo, gli ormoni dello “stress”.
Per fare un esperimento, provate a ricordare la sensazione che avete avuto quando vi siete trovati in un luogo nel quale non vi sentivate a vostro agio e desideravate andarvene. Il vostro cuore batteva più forte del solito? Il vostro respiro si è fatto più affannoso? Ebbene, era il vostro ipotalamo, che in quel momento stava dicendo alla ghiandola surrenale di secernere adrenalina e cortisolo, gli ormoni dello “stress”.
Eravate nervosi o vigili? Dovete ringraziare questi ormoni dello stress che hanno arricchito di ossigeno il vostro sangue dopo che vi siete messi a respirare più velocemente. Vi sentivate iperattivi o pronti a scattare in azione? Erano i vostri vasi che si restringevano per portare questo sangue ricco di ossigeno ai muscoli, che si sarebbero poi tesi per prepararsi ad allontanare la minaccia percepita (in questo caso, per catapultarvi fuori da quella stanza o edificio prima possibile).
La nostra condizione psicologica ha un impatto enorme sulla nostra salute, quindi, tenendo in considerazione il fatto che in un paese come l’Australia, per esempio, molte persone passano il 90 per cento del loro tempo in un ambiente chiuso, avere case, uffici e palazzi “salubri” riveste un’importanza fondamentale per il nostro benessere.
La nostra condizione psicologica ha un impatto enorme sulla nostra salute, quindi, tenendo in considerazione il fatto che in un paese come l’Australia, per esempio, molte persone passano il 90 per cento del loro tempo in un ambiente chiuso, avere case, uffici e palazzi “salubri” riveste un’importanza fondamentale per il nostro benessere.
Le persone, però, reagiscono all’architettura in maniera personale, giusto?
Corretto. Non c’è un’unica reazione universale a un dato spazio, e i neuroscienziati ne tengono conto. A complicare la questione, la reazione iniziale che abbiamo di fronte a uno spazio è spesso diversa da quelle successive, che abbiamo quando quello spazio ci è diventato familiare. A questo andiamo ad aggiungere le nostre esperienze in quel luogo, così che le nostre reazioni risentono di nuovi influssi: per esempio, il nostro cervello reagirà in modo molto diverso alla stessa stanza se in quell’ambiente siamo stati assunti per un lavoro o se invece vi siamo stati licenziati. Colin Ellard ha anche il sospetto che fattori diversi, come l’età, il background culturale e forse anche il genere, siano in grado di agire sulle cause all’origine delle nostre preferenze.
Corretto. Non c’è un’unica reazione universale a un dato spazio, e i neuroscienziati ne tengono conto. A complicare la questione, la reazione iniziale che abbiamo di fronte a uno spazio è spesso diversa da quelle successive, che abbiamo quando quello spazio ci è diventato familiare. A questo andiamo ad aggiungere le nostre esperienze in quel luogo, così che le nostre reazioni risentono di nuovi influssi: per esempio, il nostro cervello reagirà in modo molto diverso alla stessa stanza se in quell’ambiente siamo stati assunti per un lavoro o se invece vi siamo stati licenziati. Colin Ellard ha anche il sospetto che fattori diversi, come l’età, il background culturale e forse anche il genere, siano in grado di agire sulle cause all’origine delle nostre preferenze.
«Abbiamo visto quanto i livelli di eccitazione di un soggetto possano variare a mano a mano che questa persona si muove da una stanza a un’altra», dice il neuroscienziato. «Provate a camminare in un grande open space e il vostro grado di eccitazione, in generale, aumenterà. Questa, però, sarà soltanto una risposta iniziale a uno spazio che non avete mai visto prima. Ciò che probabilmente è più importante, e di cui sappiamo anche molto meno, è il “come” l’architettura di una casa possa influenzarci lungo i mesi e gli anni di una vita. È una questione molto più complessa e ricca di sfumature, difficile da sviscerare con le nostre indagini e i nostri modelli di realtà virtuale».
Che cosa cerchiamo inconsciamente in una casa? La nostra lista dei desideri per una casa da sogno non ha radice soltanto nella biologia, ma la neuro-architettura può dirci qualcosa di più a proposito degli elementi che da qui traggono origine. «Essenzialmente, quando osserviamo le risposte degli esseri umani a un luogo costruito, in realtà stiamo indagando una questione biologica molto basilare, quella della “selezione dell’habitat”», spiega Colin Ellard.
«Se guardiamo alla nostra storia evolutiva, i problemi che abbiamo dovuto superare non sono diversi da quelli di una volpe alla ricerca di un buon posto dove farsi la tana o di un uccello in cerca di un angolo dove costruire il suo nido. Qual è la postazione dove possiamo ottimizzare le risorse a nostra disposizione e ridurre al minimo le possibilità di diventare una preda? Gli esseri umani del nostro tempo, per fortuna, in gran parte non devono più preoccuparsi di questo genere di problemi, ma fattori di questa natura esercitano ancora un’influenza sulle nostre scelte», continua l’esperto.
«Se guardiamo alla nostra storia evolutiva, i problemi che abbiamo dovuto superare non sono diversi da quelli di una volpe alla ricerca di un buon posto dove farsi la tana o di un uccello in cerca di un angolo dove costruire il suo nido. Qual è la postazione dove possiamo ottimizzare le risorse a nostra disposizione e ridurre al minimo le possibilità di diventare una preda? Gli esseri umani del nostro tempo, per fortuna, in gran parte non devono più preoccuparsi di questo genere di problemi, ma fattori di questa natura esercitano ancora un’influenza sulle nostre scelte», continua l’esperto.
Da che cosa sono state attratte di più le persone nel corso degli esperimenti?
Dato che le preferenze personali in questo campo giocano innegabilmente un ruolo importante, Ellard invita a evitare l’idea che sia possibile identificare un atteggiamento identico per tutti, e preferisce invece concentrarsi sui temi e i motivi comuni, condivisi da tutte le persone.
«Tendiamo a privilegiare gli spazi dove abbiamo esperienza di un “rifugio” (e ci sentiamo in qualche modo protetti) così come di una “prospettiva” (e abbiamo la possibilità di avere una percezione di quello che ci circonda, di avere conoscenza ciò che ci capita intorno, di avere un panorama)», spiega l’esperto. «Anche la cosa più semplice, come l’eterno successo di un oggetto come la poltrona, potrebbe essere collegato a questo aspetto. In una casa, gli angolini intimi ricavati in ambienti più ampi sono spesso quelli dove le persone tendono a passare più tempo».
Dato che le preferenze personali in questo campo giocano innegabilmente un ruolo importante, Ellard invita a evitare l’idea che sia possibile identificare un atteggiamento identico per tutti, e preferisce invece concentrarsi sui temi e i motivi comuni, condivisi da tutte le persone.
«Tendiamo a privilegiare gli spazi dove abbiamo esperienza di un “rifugio” (e ci sentiamo in qualche modo protetti) così come di una “prospettiva” (e abbiamo la possibilità di avere una percezione di quello che ci circonda, di avere conoscenza ciò che ci capita intorno, di avere un panorama)», spiega l’esperto. «Anche la cosa più semplice, come l’eterno successo di un oggetto come la poltrona, potrebbe essere collegato a questo aspetto. In una casa, gli angolini intimi ricavati in ambienti più ampi sono spesso quelli dove le persone tendono a passare più tempo».
Colin Ellard sottolinea anche l’importanza di riuscire a “vivere” più tipi di ambiente all’interno della stessa abitazione.
«Come abbiamo mostrato in alcune nostre ricerche realizzate in realtà virtuale, le persone possono essere attratte da ambienti aperti e grandi open space nei momenti di socialità, ma preferiscono stanze più piccole e chiuse quando sono alle prese con un problema o un’emozione difficile da gestire».
Dai lavori di Ellard emerge, inoltre, che siamo influenzati pesantemente dalla facciata delle costruzioni. «Abbiamo scoperto che alle facciate simmetriche corrispondono gradi superiori di piacere e attrattiva», spiega.
«Come abbiamo mostrato in alcune nostre ricerche realizzate in realtà virtuale, le persone possono essere attratte da ambienti aperti e grandi open space nei momenti di socialità, ma preferiscono stanze più piccole e chiuse quando sono alle prese con un problema o un’emozione difficile da gestire».
Dai lavori di Ellard emerge, inoltre, che siamo influenzati pesantemente dalla facciata delle costruzioni. «Abbiamo scoperto che alle facciate simmetriche corrispondono gradi superiori di piacere e attrattiva», spiega.
Lo studioso ha anche notato che siamo attratti dalle facciate più complesse, originali, e dalla texture particolare, mentre, al contrario, sfuggiamo da quelle dall’aspetto più regolare, monotono e non variato. In un esperimento condotto a New York, in Lower Manhattan, gli studenti del professor Ellard, nel passare al fianco di una lunga vetrata scura, tendevano ad aumentare il passo nello sforzo inconsapevole di accelerare e superare quel punto, e, contemporaneamente, il loro livello di interesse ed eccitazione era calato.
«Io me lo spiego con la nostra sete di conoscenza», commenta il ricercatore. «Per gli esseri umani le informazioni hanno un valore critico ai fini della sopravvivenza e la complessità segnala la presenza di informazioni. Secondo me è tutto qui», commenta Ellard.
«Io me lo spiego con la nostra sete di conoscenza», commenta il ricercatore. «Per gli esseri umani le informazioni hanno un valore critico ai fini della sopravvivenza e la complessità segnala la presenza di informazioni. Secondo me è tutto qui», commenta Ellard.
Il neuroscienziato sostiene che i risultati delle sue ricerche sulla texture delle facciate siano applicabili anche agli ambienti interni: «Abbiamo osservato in maniera piuttosto estesa anche setting di realtà virtuale, riscontrando fenomeni simili a quelli riscontrati in esterno». Se non siete mai stati attratti dallo stile minimalista, questo potrebbe essere uno dei motivi.
Colin Ellard non è il solo ad avere fatto interessanti scoperte in questo settore. In Svezia, Roger Ulrich, docente di architettura, ha osservato che i pazienti ricoverati in ospedali che offrivano viste panoramiche su scenari naturali erano dimessi prima di quelli ricoverati in strutture circondate da muri. Negli Stati Uniti, gli scienziati del Salk Institute, collaborando con degli architetti, hanno fatto affascinanti osservazioni circa il modo in cui tipi diversi di luce negli edifici (la luce blu del mattino o la luce rossa del pomeriggio o la luce artificiale) ci influenzano dal punto di visto cognitivo. In Canada, Oshin Vartanian, un professore di psicologia, ha osservato che negli ambienti costruiti le persone rispondono positivamente alle curvature.
«A un livello molto semplice, il motivo potrebbe consistere nel fatto che le superfici curvate (rispetto, per esempio, a quelle seghettate) presentano meno probabilità di farci male se le tocchiamo, suggerendoci, ancora una volta, che all’origine delle nostre predilezioni ci sia una primordiale ragione adattiva… ma secondo me la spiegazione è più ampia», dice Ellard.
«A un livello molto semplice, il motivo potrebbe consistere nel fatto che le superfici curvate (rispetto, per esempio, a quelle seghettate) presentano meno probabilità di farci male se le tocchiamo, suggerendoci, ancora una volta, che all’origine delle nostre predilezioni ci sia una primordiale ragione adattiva… ma secondo me la spiegazione è più ampia», dice Ellard.
«A titolo di esempio, siamo attratti anche dai sentieri con curve, probabilmente perché generano un qualcosa che gli psicologi dell’ambiente chiamano “mistero”: l’idea è che amiamo trovarci in situazioni che potremmo definire “rivelanti”. Ci piacciono gli ambienti all’interno dei quali siamo attirati contro la promessa di ricevere altre informazioni. Ancora una volta, la ricerca di informazioni è cruciale», sintetizza il ricercatore.
«Una delle scoperte più importanti nella psicologia dell’ambiente ha a che vedere con il profondo impatto degli ambienti naturali dal punto di vista psicologico, fisiologico e della salute in generale. Un piccolo elemento come una pianta da appartamento, o addirittura soltanto la raffigurazione di una pianta, è in grado di sortire in noi un effetto potente: una cosa che sembra avere perfettamente senso, se pensiamo che, prima ancora che negli edifici, l’uomo ha vissuto immerso nella natura (laddove i nostri istinti primitivi hanno cominciato a svilupparsi).
«Una delle scoperte più importanti nella psicologia dell’ambiente ha a che vedere con il profondo impatto degli ambienti naturali dal punto di vista psicologico, fisiologico e della salute in generale. Un piccolo elemento come una pianta da appartamento, o addirittura soltanto la raffigurazione di una pianta, è in grado di sortire in noi un effetto potente: una cosa che sembra avere perfettamente senso, se pensiamo che, prima ancora che negli edifici, l’uomo ha vissuto immerso nella natura (laddove i nostri istinti primitivi hanno cominciato a svilupparsi).
Che cosa ne pensano gli architetti?
Colin Ellard spiega che le reazioni dei progettisti alla neuro-architettura si sono dimostrate “selvaggiamente confuse”, da quando la disciplina ha preso slancio una decina di anni fa sino a oggi. «Con la nascita di organizzazioni come la Academy of Neuroscience for Architecture (che raggruppa scienziati e architetti che ogni due anni si incontrano e comunicano i progressi ottenuti nel settore), credo che quasi tutti gli architetti abbiano quanto meno acquisito una vaga idea del fatto che potremmo usare i principi delle neuroscienze per far evolvere la progettazione», commenta il ricercatore.
Colin Ellard spiega che le reazioni dei progettisti alla neuro-architettura si sono dimostrate “selvaggiamente confuse”, da quando la disciplina ha preso slancio una decina di anni fa sino a oggi. «Con la nascita di organizzazioni come la Academy of Neuroscience for Architecture (che raggruppa scienziati e architetti che ogni due anni si incontrano e comunicano i progressi ottenuti nel settore), credo che quasi tutti gli architetti abbiano quanto meno acquisito una vaga idea del fatto che potremmo usare i principi delle neuroscienze per far evolvere la progettazione», commenta il ricercatore.
«Molti architetti sono intrigati dalle possibilità offerte da un settore che sta cominciando a definirsi soltanto ora. Penso che ce ne siano altri (e sicuramente ne ho incontrato qualcuno) che sono molto più scettici, e a volte persino forse un po’ preoccupati che questo movimento rappresenti un passo indietro, in direzione di una prospettiva riduzionista e magari addirittura lecorbusiana, che è già stata esperita nella storia e ha mostrato le sue lacune».
Come ci si può avvicinare alla neuro-architettura tra le mura della propria abitazione? Secondo Colin Ellard, il segreto sta nel capire noi stessi e nell’identificare il modo in cui il progetto che ci proponiamo di realizzare influenzerà le nostre sensazioni.
«Sarà la vostra personalità, in un certo senso, a orientare le vostre preferenze», dice l’esperto. «Se, per esempio, siete molto introversi, probabilmente non sarete felici in uno spazio molto ampio a pianta aperta».
Colin Ellard ci invita a “immergerci” nei progetti che stiamo guardando, così da essere in grado di accrescere e affinare la consapevolezza delle nostre sensazioni in quel determinato luogo.
«Sarà la vostra personalità, in un certo senso, a orientare le vostre preferenze», dice l’esperto. «Se, per esempio, siete molto introversi, probabilmente non sarete felici in uno spazio molto ampio a pianta aperta».
Colin Ellard ci invita a “immergerci” nei progetti che stiamo guardando, così da essere in grado di accrescere e affinare la consapevolezza delle nostre sensazioni in quel determinato luogo.
«E, se siete alla ricerca di una casa, per identificare ciò che fa più per voi pensate alle vostre esperienze passate», suggerisce lo studioso.
«Io posso applicare i miei sensori per capire se le vostre onde cerebrali fanno pensare che siete rilassati e felici e se la vostra conduttanza cutanea suggerisce che siete eccitati o annoiati, ma gli esseri umani generalmente sono piuttosto bravi a capirlo da soli. C’è bisogno di molta pazienza, di tanta attenzione per le proprie sensazioni e di un po’ di fiducia in se stessi».
E tu? Riesci a fare auto-analisi e capire qual è l’architettura che fa per te?
«Io posso applicare i miei sensori per capire se le vostre onde cerebrali fanno pensare che siete rilassati e felici e se la vostra conduttanza cutanea suggerisce che siete eccitati o annoiati, ma gli esseri umani generalmente sono piuttosto bravi a capirlo da soli. C’è bisogno di molta pazienza, di tanta attenzione per le proprie sensazioni e di un po’ di fiducia in se stessi».
E tu? Riesci a fare auto-analisi e capire qual è l’architettura che fa per te?