Perché Molte Aziende Producono i Pezzi dei Designer Danesi anni 50
È corretto produrre e vendere oggetti progettati dai maestri del design degli anni Cinquanta, anche laddove all’epoca furono scartati?
Kasper Iversen
15 settembre 2016
Basta dire “design danese” e il pensiero va automaticamente ai mobili e alle lampade progettati negli anni Cinquanta e Sessanta da maestri come Arne Jacobsen, Hans J. Wegner e Poul Henningsen. Ancora oggi, nonostante questi grandi nomi appartengano a un’epoca ormai lontana e la Danimarca vanti oggi un gran numero di giovani designer, continuano a spuntare “nuove” proposte progettate dalla vecchia scuola.
Puntando sulla popolarità dei pezzi originali degli anni Cinquanta, eredi e produttori hanno scavato a fondo negli archivi per riportare alla luce disegni, schizzi e progetti, allo scopo di mettere in produzione nuovi oggetti.
Gli elementi di arredo progettati dai maestri del design sono sempre molto richiesti, tuttavia questa tendenza non è immune alle critiche. È davvero corretto riportare in vita a tutti i costi le creazioni di persone che non ci sono più e che a loro tempo furono scartate? I maestri sono sempre e per forza migliori di chi è venuto dopo? E che cosa direbbero Jacobsen o Henningsen stessi, se venissero a sapere che viene data nuova vita a loro vecchie idee?
Puntando sulla popolarità dei pezzi originali degli anni Cinquanta, eredi e produttori hanno scavato a fondo negli archivi per riportare alla luce disegni, schizzi e progetti, allo scopo di mettere in produzione nuovi oggetti.
Gli elementi di arredo progettati dai maestri del design sono sempre molto richiesti, tuttavia questa tendenza non è immune alle critiche. È davvero corretto riportare in vita a tutti i costi le creazioni di persone che non ci sono più e che a loro tempo furono scartate? I maestri sono sempre e per forza migliori di chi è venuto dopo? E che cosa direbbero Jacobsen o Henningsen stessi, se venissero a sapere che viene data nuova vita a loro vecchie idee?
Drop chair di Arne Jacobsen per Fritz Hansen. Progettata e lanciata nel 1958; rilanciata con nuovi colori e materiali nel 2014.
Tobias Jacobsen, orafo e designer, nonché nipote del leggendario Arne Jacobsen, nutre una grande passione per la tradizione ed eredità culturale del design, e lavora come consulente a fianco dei produttori in un’opera di recupero dei disegni di suo nonno.
Tobias Jacobsen, orafo e designer, nonché nipote del leggendario Arne Jacobsen, nutre una grande passione per la tradizione ed eredità culturale del design, e lavora come consulente a fianco dei produttori in un’opera di recupero dei disegni di suo nonno.
Orologio da parete Bankers di Arne Jacobsen per Arne Jacobsen ure.
Uno degli obiettivi di Tobias Jacobsen è proprio riportare alla luce i disegni del celebre avo. Così, per esempio, sulla base di vecchi schizzi è stata creata e messa in produzione da Georg Jensen Damask una linea di tovaglie, biancheria da letto e asciugamani.
Un altro caso rappresentativo è offerto dagli orologi, oggetti su cui Arne Jacobsen si concentrò per la facciata di diversi municipi e per quella della Danish National Bank: recentemente Tobias Jacobsen, in collaborazione con l’azienda danese Rosendahl, ne ha recuperato i disegni e li ha rivisitati per produrre orologi da parete e sveglie per uso domestico.
Uno degli obiettivi di Tobias Jacobsen è proprio riportare alla luce i disegni del celebre avo. Così, per esempio, sulla base di vecchi schizzi è stata creata e messa in produzione da Georg Jensen Damask una linea di tovaglie, biancheria da letto e asciugamani.
Un altro caso rappresentativo è offerto dagli orologi, oggetti su cui Arne Jacobsen si concentrò per la facciata di diversi municipi e per quella della Danish National Bank: recentemente Tobias Jacobsen, in collaborazione con l’azienda danese Rosendahl, ne ha recuperato i disegni e li ha rivisitati per produrre orologi da parete e sveglie per uso domestico.
Tovaglia con motivo ripreso da un vecchio schizzo di Arne Jacobsen, Georg Jensen Damask.
Bicchieri Royal di Arne Jacobsen, Holmegaard.
«Abbiamo anche ripreso la serie di bicchieri Royal, disegnata da Arne nel 1960 per l’Hotel SAS Royal di Copenhagen, il primo hotel al mondo frutto di un vero e proprio progetto di design», spiega Jacobsen. «I bicchieri per il vino furono prodotti in una serie limitata e unica per l’hotel, ma oggi Holmegaard li ha nuovamente messi in produzione. Da designer e architetto, in questi bicchieri riconosco chiaramente le tracce delle sedie Egg e Swan, se non addirittura le linee delle sue maniglie e dei suoi cucchiai da minestra».
«Abbiamo anche ripreso la serie di bicchieri Royal, disegnata da Arne nel 1960 per l’Hotel SAS Royal di Copenhagen, il primo hotel al mondo frutto di un vero e proprio progetto di design», spiega Jacobsen. «I bicchieri per il vino furono prodotti in una serie limitata e unica per l’hotel, ma oggi Holmegaard li ha nuovamente messi in produzione. Da designer e architetto, in questi bicchieri riconosco chiaramente le tracce delle sedie Egg e Swan, se non addirittura le linee delle sue maniglie e dei suoi cucchiai da minestra».
Orologio da stazione per tavolo di Arne Jacobsen per Arne Jacobsen ure, Rosendahl.
«Io stesso sono un progettista, e so quanto è difficile arrivare ad avere un tuo oggetto prodotto in serie e distribuito. È davvero curioso e impressionante vedere quanto sia facile con le collezioni di Arne. Hanno sempre molto successo».
Continua il nipote del maestro: «Si potrebbe pensare che trovare nel tesoro delle memorie di un nonno designer uno schizzo e metterlo rapidamente in produzione sia un’operazione di grande facilità. In effetti, invece, si tratta di cosa ben più complessa, che richiede diverse riflessioni».
«Ci sono già 180 nuovi modelli, e ne stiamo trovando altri. Ovviamente, la grande sfida sta nel selezionare che cosa vale la pena tenere e che cosa invece scartare, perché non tutto ciò che è stato creato da mio nonno è “plausibile”… anche se lo è quasi tutto», spiega Jacobsen. «Abbiamo trovato alcuni disegni con motivi animali che sono un filo infantili, il che mostra una sua debolezza e il mondo non ha bisogno di venirne a conoscenza. Non è questo che voglio».
«Io stesso sono un progettista, e so quanto è difficile arrivare ad avere un tuo oggetto prodotto in serie e distribuito. È davvero curioso e impressionante vedere quanto sia facile con le collezioni di Arne. Hanno sempre molto successo».
Continua il nipote del maestro: «Si potrebbe pensare che trovare nel tesoro delle memorie di un nonno designer uno schizzo e metterlo rapidamente in produzione sia un’operazione di grande facilità. In effetti, invece, si tratta di cosa ben più complessa, che richiede diverse riflessioni».
«Ci sono già 180 nuovi modelli, e ne stiamo trovando altri. Ovviamente, la grande sfida sta nel selezionare che cosa vale la pena tenere e che cosa invece scartare, perché non tutto ciò che è stato creato da mio nonno è “plausibile”… anche se lo è quasi tutto», spiega Jacobsen. «Abbiamo trovato alcuni disegni con motivi animali che sono un filo infantili, il che mostra una sua debolezza e il mondo non ha bisogno di venirne a conoscenza. Non è questo che voglio».
Carta da parati Trapez, creata da un disegno di Arne Jacobsen, Boråstapeter.
Tra le altre cose, va fatto un considerevole sforzo per adattare ogni disegno al gusto contemporaneo, pur nel rispetto per gli originali. È quello che è successo, per esempio, nel caso della carta da parati che il nipote del grande Jacobsen ha creato in collaborazione con l’azienda svedese Boråstapeter.
Tra le altre cose, va fatto un considerevole sforzo per adattare ogni disegno al gusto contemporaneo, pur nel rispetto per gli originali. È quello che è successo, per esempio, nel caso della carta da parati che il nipote del grande Jacobsen ha creato in collaborazione con l’azienda svedese Boråstapeter.
Carta da parati Epsilon creata da un disegno di Arne Jacobsen, Boråstapeter.
«Il lavoro andrebbe svolto con tempi lunghi e grande accuratezza, proprio come avveniva ai tempi di Arne. Quando le cose sono fatte troppo rapidamente, poi svaniscono altrettanto in fretta. Quando vengono alla luce al giusto passo, si conservano più a lungo. Ho passato molte settimane con il team di Boråstapeter per arrivare a ottenere una qualità adeguata della stampa. Il risultato dovrebbe essere quello di un magnifico acquarello», dice Jacobsen.
Tuttavia, non tutti mostrano entusiasmo per l’idea di dare nuova vita agli schizzi dei designer del passato. Christian Holmsted Olesen, responsabile della collezione e curatore delle mostre del Designmuseum Danmark, è scettico: «Spesso c’è un motivo dietro al fatto che all’epoca un pezzo non è entrato in produzione, e spesso il motivo è che lo stesso designer o il produttore non pensavano che quel pezzo avesse qualità sufficienti».
Holmsted Olesen spiega che se negli appunti sono state ripescate vere e proprie gemme, poi immesse con successo sul mercato, spesso gli è anche capitato di vedere il contrario. «Temo che, talvolta, produttori e utenti restino abbagliati di trovarsi di fronte alla firma di Arne Jacobsen, Wegner o PH, perdendo completamente il senso critico e dimenticando di chiedersi che cosa sia il buon design. A quel punto stiamo soltanto parlando della venerazione di un nome», sostiene.
«Il lavoro andrebbe svolto con tempi lunghi e grande accuratezza, proprio come avveniva ai tempi di Arne. Quando le cose sono fatte troppo rapidamente, poi svaniscono altrettanto in fretta. Quando vengono alla luce al giusto passo, si conservano più a lungo. Ho passato molte settimane con il team di Boråstapeter per arrivare a ottenere una qualità adeguata della stampa. Il risultato dovrebbe essere quello di un magnifico acquarello», dice Jacobsen.
Tuttavia, non tutti mostrano entusiasmo per l’idea di dare nuova vita agli schizzi dei designer del passato. Christian Holmsted Olesen, responsabile della collezione e curatore delle mostre del Designmuseum Danmark, è scettico: «Spesso c’è un motivo dietro al fatto che all’epoca un pezzo non è entrato in produzione, e spesso il motivo è che lo stesso designer o il produttore non pensavano che quel pezzo avesse qualità sufficienti».
Holmsted Olesen spiega che se negli appunti sono state ripescate vere e proprie gemme, poi immesse con successo sul mercato, spesso gli è anche capitato di vedere il contrario. «Temo che, talvolta, produttori e utenti restino abbagliati di trovarsi di fronte alla firma di Arne Jacobsen, Wegner o PH, perdendo completamente il senso critico e dimenticando di chiedersi che cosa sia il buon design. A quel punto stiamo soltanto parlando della venerazione di un nome», sostiene.
Portacandele Kubus di Mogens Lassen. Progettato e messo in distribuzione nel 1962; in tempi recenti messo in distribuzione in nuovi colori, comprese una versione bianca, cromatizzata e bronzo da by Lassen.
Poltrona Pelican di Finn Juhl. Progettata e messa in distribuzione nel 1940; rilanciata da Onecollection nel 2001.
Holmsted Olesen pensa che, peraltro, un atteggiamento di così totale adorazione dei designer sia un segno di “pigrizia” e di mancanza di immaginazione da parte dei produttori, che in questo modo “vanno sul sicuro” e non danno il giusto spazio ai progettisti giovani.
«Il design dovrebbe riflettere il tempo in cui viviamo. Se non lo si sviluppa utilizzando materiali e competenze contemporanee, si diventa una specie di museo, e paesi come la Danimarca cessano di essere all’avanguardia nel mondo in questo campo», commenta Olesen.
«Quando, negli anni Cinquanta, il design danese raggiunse l’apice della notorietà, fu anche perché i produttori erano assolutamente disposti a prendersi dei rischi. Si trattava di aziende a gestione familiare con una grande passione per il design e l’arredamento. Oggi, invece, molti produttori non mostrano di avere alcun interesse per il settore, ma ragionano in termini puramente commerciali».
Holmsted Olesen pensa che, peraltro, un atteggiamento di così totale adorazione dei designer sia un segno di “pigrizia” e di mancanza di immaginazione da parte dei produttori, che in questo modo “vanno sul sicuro” e non danno il giusto spazio ai progettisti giovani.
«Il design dovrebbe riflettere il tempo in cui viviamo. Se non lo si sviluppa utilizzando materiali e competenze contemporanee, si diventa una specie di museo, e paesi come la Danimarca cessano di essere all’avanguardia nel mondo in questo campo», commenta Olesen.
«Quando, negli anni Cinquanta, il design danese raggiunse l’apice della notorietà, fu anche perché i produttori erano assolutamente disposti a prendersi dei rischi. Si trattava di aziende a gestione familiare con una grande passione per il design e l’arredamento. Oggi, invece, molti produttori non mostrano di avere alcun interesse per il settore, ma ragionano in termini puramente commerciali».
L’iconico lampadario Artichoke di Poul Henningsen per Louis Poulsen. Progettato nel 1958 e, da allora, in distribuzione.
A breve, una serie di mobili di Poul Henningsen (o PH, come lo chiamano in Danimarca) vedrà la luce. Il designer danese è famoso in tutto il mondo per le sue lampade dalle forme particolari, come il Carciofo, ma disegnò anche dei mobili che saranno prodotti in serie da quest’anno, come spiega Søren Vincents Svendsen, titolare dell’azienda Toneart Interior, che ha ottenuto i diritti per la fabbricazione.
«Quando abbiamo cominciato a cercare negli archivi, ci è stato subito chiaro che Poul Henningsen, in effetti, fu molto più prolifico nella progettazione dei mobili che in quella delle lampade. Non sono ancora certo che il nostro lavoro di ricerca sia terminato, ma al momento abbiamo trovato disegni per settanta elementi di arredo: varie poltrone, un tavolino, un tavolo da conferenze e un cavallino a dondolo», spiega l’imprenditore.
A breve, una serie di mobili di Poul Henningsen (o PH, come lo chiamano in Danimarca) vedrà la luce. Il designer danese è famoso in tutto il mondo per le sue lampade dalle forme particolari, come il Carciofo, ma disegnò anche dei mobili che saranno prodotti in serie da quest’anno, come spiega Søren Vincents Svendsen, titolare dell’azienda Toneart Interior, che ha ottenuto i diritti per la fabbricazione.
«Quando abbiamo cominciato a cercare negli archivi, ci è stato subito chiaro che Poul Henningsen, in effetti, fu molto più prolifico nella progettazione dei mobili che in quella delle lampade. Non sono ancora certo che il nostro lavoro di ricerca sia terminato, ma al momento abbiamo trovato disegni per settanta elementi di arredo: varie poltrone, un tavolino, un tavolo da conferenze e un cavallino a dondolo», spiega l’imprenditore.
Prototipo contemporaneo del tavolo Axe di Poul Henningsen per PH Møbler, ToneArt Interior.
Se si chiede a Vincents Svendsen quale sia il senso di produrre oggi i mobili di Henningsen, la risposta è chiara. «Il mondo non ha bisogno di altri mobili: c’è già una varietà infinità di tavoli e sedie. Ma secondo me dappertutto si usa guardare alla storia e trovare nel passato le cose migliori da riportare nel presente. Nel nostro caso, ogni pezzo ha una storia da raccontare, e per noi è normale ascoltarla. È una cosa di grande interesse».
L’esempio di una di queste storie è offerto dal tavolo Axe. Quando Henningsen visitò il Canada, nel 1954, trovò nelle asce di chi lavorava nei boschi un’interessante fonte di ispirazione. Il designer riportò con sé otto manici d’ascia, vi appoggiò sopra un piano… e voilà, aveva progettato un tavolo.
Se si chiede a Vincents Svendsen quale sia il senso di produrre oggi i mobili di Henningsen, la risposta è chiara. «Il mondo non ha bisogno di altri mobili: c’è già una varietà infinità di tavoli e sedie. Ma secondo me dappertutto si usa guardare alla storia e trovare nel passato le cose migliori da riportare nel presente. Nel nostro caso, ogni pezzo ha una storia da raccontare, e per noi è normale ascoltarla. È una cosa di grande interesse».
L’esempio di una di queste storie è offerto dal tavolo Axe. Quando Henningsen visitò il Canada, nel 1954, trovò nelle asce di chi lavorava nei boschi un’interessante fonte di ispirazione. Il designer riportò con sé otto manici d’ascia, vi appoggiò sopra un piano… e voilà, aveva progettato un tavolo.
Prototipo contemporaneo di tavolo di Poul Henningsen per PH Møbler, ToneArt Interior.
«Quando PH li disegnò – parliamo soprattutto degli anni Venti e Trenta – da una parte questi mobili erano troppo provocatori ed eccentrici per la loro epoca, e dall’altra non esistevano strumenti e tecnologie adeguati per fabbricarli. Molto semplicemente, PH era avanti rispetto al suo tempo», commenta Vincents Svendsen. Alcuni pezzi furono prodotti come prototipi, altri furono fabbricati in piccole quantità, e altri ancora rimasero sulla carta.
«Quando PH li disegnò – parliamo soprattutto degli anni Venti e Trenta – da una parte questi mobili erano troppo provocatori ed eccentrici per la loro epoca, e dall’altra non esistevano strumenti e tecnologie adeguati per fabbricarli. Molto semplicemente, PH era avanti rispetto al suo tempo», commenta Vincents Svendsen. Alcuni pezzi furono prodotti come prototipi, altri furono fabbricati in piccole quantità, e altri ancora rimasero sulla carta.
Prototipo contemporaneo di tavolo di PoulHenningsen per PH Møbler, ToneArt Interior.
L’interesse di Vincents Svendsen per i disegni di Henningsen si è acceso qualche anno fa, quando l’imprenditore ha scoperto un pianoforte disegnato da PH nel 1931, ne ha ottenuto i diritti e ha cominciato a fabbricarlo. Quest’anno lancerà i primi mobili progettati dal maestro. La prima serie consisterà probabilmente di dieci-quindici pezzi.
«Il segreto sta nel selezionare gli oggetti giusti, perché non basta portare nel futuro la tradizione culturale danese. Occorre anche che si tratti di arredi per i quali ci sia richiesta e mercato», sostiene Vincents Svendsen. Molti di questi bozzetti si riferiscono a elementi in legno, e questo rientra nei canoni estetici della domanda contemporanea, spiega il produttore.
L’interesse di Vincents Svendsen per i disegni di Henningsen si è acceso qualche anno fa, quando l’imprenditore ha scoperto un pianoforte disegnato da PH nel 1931, ne ha ottenuto i diritti e ha cominciato a fabbricarlo. Quest’anno lancerà i primi mobili progettati dal maestro. La prima serie consisterà probabilmente di dieci-quindici pezzi.
«Il segreto sta nel selezionare gli oggetti giusti, perché non basta portare nel futuro la tradizione culturale danese. Occorre anche che si tratti di arredi per i quali ci sia richiesta e mercato», sostiene Vincents Svendsen. Molti di questi bozzetti si riferiscono a elementi in legno, e questo rientra nei canoni estetici della domanda contemporanea, spiega il produttore.
Servizio da tè e caffè Cylinda di Arne Jacobsen per Stelton.
Il nipote di Arne Jacobsen crede che la questione della correttezza del proporre sul mercato vecchi progetti sia più complessa di quella che sembra, poiché è convinto che i grandi maestri avessero qualcosa che i designer del nostro tempo non possiedono.
«Recentemente ho visto l’avveniristico film Io, Robot, con Will Smith. La storia si svolge nel 2035, e sapete in che tazza bevono il caffè i protagonisti del film? Usano la tazza Stelton di Arne Jacobsen e i cucchiaini di Georg Jensen. È incredibile che per illustrare il futuro siano stati usati i vecchi oggetti creati da mio nonno. È la dimostrazione di quanto lui abbia preceduto i tempi e di come i suoi progetti siano ancora di valore».
Tuttavia c’è chi si chiede se sia difendibile, da un punto di vista etico, mettersi a fabbricare oggetti creati da persone che oggi non ci sono più. Che cosa direbbero se fossero ancora vive?
«Trovo perfettamente lecito porsi questa domanda, e per ovvi motivi non potremo mai essere certi di ciò che ne penserebbe PH», dice Vincents Svendsen. «Ma sono convinto che metteva una tale energia nei suoi disegni che non fu tanto a causa sua, quanto, piuttosto, per i meccanismi della domanda dell’epoca se non furono messi in produzione tutti i progetti. Non ci vedo un problema, finché produciamo ogni pezzo restando fedeli all’originale e se manteniamo un buon dialogo con gli eredi».
Il nipote di Arne Jacobsen crede che la questione della correttezza del proporre sul mercato vecchi progetti sia più complessa di quella che sembra, poiché è convinto che i grandi maestri avessero qualcosa che i designer del nostro tempo non possiedono.
«Recentemente ho visto l’avveniristico film Io, Robot, con Will Smith. La storia si svolge nel 2035, e sapete in che tazza bevono il caffè i protagonisti del film? Usano la tazza Stelton di Arne Jacobsen e i cucchiaini di Georg Jensen. È incredibile che per illustrare il futuro siano stati usati i vecchi oggetti creati da mio nonno. È la dimostrazione di quanto lui abbia preceduto i tempi e di come i suoi progetti siano ancora di valore».
Tuttavia c’è chi si chiede se sia difendibile, da un punto di vista etico, mettersi a fabbricare oggetti creati da persone che oggi non ci sono più. Che cosa direbbero se fossero ancora vive?
«Trovo perfettamente lecito porsi questa domanda, e per ovvi motivi non potremo mai essere certi di ciò che ne penserebbe PH», dice Vincents Svendsen. «Ma sono convinto che metteva una tale energia nei suoi disegni che non fu tanto a causa sua, quanto, piuttosto, per i meccanismi della domanda dell’epoca se non furono messi in produzione tutti i progetti. Non ci vedo un problema, finché produciamo ogni pezzo restando fedeli all’originale e se manteniamo un buon dialogo con gli eredi».
Chaise longue PK22, lanciata nel 1956, e panca PK80, lanciata nel 1957 da Poul Kjærholm per Fritz Hansen.
Christian Holmsted Olesen spiega che alcuni designer hanno riflettuto a lungo sull’eredità che avrebbero lasciato. Il danese Poul Kjærholm, per esempio, distrusse deliberatamente tutti i suoi disegni prima di morire, per essere sicuro che nessuno, successivamente, ne avrebbe fatto uso. Hans J. Wegner, invece, fece in modo che non venissero resi pubblici e, secondo le stime di Holmsted Olesen, potrebbero esserci ben duemila complementi di arredo pronti per la produzione.
Christian Holmsted Olesen spiega che alcuni designer hanno riflettuto a lungo sull’eredità che avrebbero lasciato. Il danese Poul Kjærholm, per esempio, distrusse deliberatamente tutti i suoi disegni prima di morire, per essere sicuro che nessuno, successivamente, ne avrebbe fatto uso. Hans J. Wegner, invece, fece in modo che non venissero resi pubblici e, secondo le stime di Holmsted Olesen, potrebbero esserci ben duemila complementi di arredo pronti per la produzione.
Asciugamani con motivo a mosaico tratto da un vecchio studio di ArneJacobsen, Georg Jensen Damask.
Per Tobias Jacobsen, il punto davvero cruciale è che l’eredità di suo nonno sia raccolta con il giusto spirito. «Sono pienamente consapevole di quanto avanti ci si possa spingere. Ci ho pensato bene, visto che i disegni di mio nonno sono stampati su teli con i quali le persone avvolgono il corpo. Ma l’azienda produttrice, Georg Jensen Damask, è nota per l’eccellenza della qualità dei suoi tessuti, quindi credo che si tratti di un’operazione difendibile dalle critiche. Tuttavia non permetterei mai che lo stesso avvenisse con una borsetta o con carta igienica».
E che cosa direbbe Arne Jacobsen, se sapesse che i suoi disegni sono stati riportati alla luce dopo la sua morte? «Mio nonno non era soltanto un grande designer. Era anche un grande uomo d’affari. Secondo me farebbe un sorriso, se ne andrebbe in pasticceria a comprare il suo dolce preferito e festeggerebbe».
E ora, a te la parola! Ti piace il design danese? E cosa ne pensi dei pezzi di design rivisitati? Condividi la tua opinione nei Commenti.
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Japanordic, Una Vera Storia d’Amore Internazionale
Per Tobias Jacobsen, il punto davvero cruciale è che l’eredità di suo nonno sia raccolta con il giusto spirito. «Sono pienamente consapevole di quanto avanti ci si possa spingere. Ci ho pensato bene, visto che i disegni di mio nonno sono stampati su teli con i quali le persone avvolgono il corpo. Ma l’azienda produttrice, Georg Jensen Damask, è nota per l’eccellenza della qualità dei suoi tessuti, quindi credo che si tratti di un’operazione difendibile dalle critiche. Tuttavia non permetterei mai che lo stesso avvenisse con una borsetta o con carta igienica».
E che cosa direbbe Arne Jacobsen, se sapesse che i suoi disegni sono stati riportati alla luce dopo la sua morte? «Mio nonno non era soltanto un grande designer. Era anche un grande uomo d’affari. Secondo me farebbe un sorriso, se ne andrebbe in pasticceria a comprare il suo dolce preferito e festeggerebbe».
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