Approfondimenti e dati
Houzz per i Pro
Nuovi Lussi a Casa: la Privacy è la Nuova Frontiera del Benessere
Sempre più difficile nei tempi che viviamo, ma ritagliarsi un angolo o un momento per sé è un'esigenza da tutelare
Quanto è importante proteggere la nostra privacy all’interno dell’ambiente domestico? Come possono il design e l’architettura facilitare la protezione di questa sfera individuale, così importante per il nostro equilibrio psicofisico? Ne abbiamo parlato con una psicologa, un architetto e un designer, che ci offrono motivazioni e strategie per difendere, almeno per un piccolo momento della giornata, l’intimità della nostra “tana”.
Il tema della privacy era già da tempo sotto i riflettori degli studi di settore.
Intitolato “The power of privacy”, il rapporto 2019 di Ikea Life at Home è un indagine sul bisogno di privacy nell’ambiente domestico. I dati che riporta, registrati su utenti di tutto il mondo, fanno riflettere. L’85% degli intervistati è consapevole “di avere diritto alla privacy anche a casa. Tuttavia 1 persona su 4 è preoccupata che i propri bisogni di privacy non vengano soddisfatti”. Osservazioni che in paesi specifici contribuiscono ad aprire uno spaccato sulle specificità delle singole realtà locali: ad esempio, il 26% di americani e inglesi dicono di non avere abbastanza soldi per raggiungere la privacy, mentre per il 43% degli intervistati in Cina dice che gli obblighi sociali sono una barriera alla privacy. In India, ancora, il 42% dichiara che l’uscire di casa è una scusa per ritrovare la propria privacy, compromessa tra pareti domestiche evidentemente troppo strette per poter ritrovare, almeno temporaneamente, la propria solitudine.
Intitolato “The power of privacy”, il rapporto 2019 di Ikea Life at Home è un indagine sul bisogno di privacy nell’ambiente domestico. I dati che riporta, registrati su utenti di tutto il mondo, fanno riflettere. L’85% degli intervistati è consapevole “di avere diritto alla privacy anche a casa. Tuttavia 1 persona su 4 è preoccupata che i propri bisogni di privacy non vengano soddisfatti”. Osservazioni che in paesi specifici contribuiscono ad aprire uno spaccato sulle specificità delle singole realtà locali: ad esempio, il 26% di americani e inglesi dicono di non avere abbastanza soldi per raggiungere la privacy, mentre per il 43% degli intervistati in Cina dice che gli obblighi sociali sono una barriera alla privacy. In India, ancora, il 42% dichiara che l’uscire di casa è una scusa per ritrovare la propria privacy, compromessa tra pareti domestiche evidentemente troppo strette per poter ritrovare, almeno temporaneamente, la propria solitudine.

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«Dal punto di vista antropologico, la casa si pone come uno spazio di separazione dal mondo esterno. Fin da quando è stato posto il primo mattone davanti alla caverna, è una sovrastruttura che ci contiene, che contiene degli oggetti che ci rappresentano», ci racconta Alessandra Micalizzi, psicologa e consulente specializzata nella dimensione abitativa e autrice con Tommaso Filighera di “Psicologia dell’abitare. Marketing, architettura e neuroscienze per lo sviluppo di nuovi modelli abitativi” (ed. Franco Angeli, 2018).
Influenzato dalla sfera culturale e da specifici momenti storici, il bisogno di protezione, di schermo, è dunque insito nella stessa ontologia della casa. Non tutti però, condividono lo stesso bisogno di isolamento tra le mura domestiche. «In un’ottica psicologica, non tutti hanno un tratto privato così spiccato. Ci sono persone che amano una casa conviviale, con la privacy da relegare ad un angolino, e altre hanno bisogno di lasciare gli altri fuori della porta e vivere tutto lo spazio della casa come una sfera profondamente intima. Riallacciandosi alla prossemica, è come se questa sfera si ingrandisse o si riducesse a seconda di tratti personali, del proprio vissuto».
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Influenzato dalla sfera culturale e da specifici momenti storici, il bisogno di protezione, di schermo, è dunque insito nella stessa ontologia della casa. Non tutti però, condividono lo stesso bisogno di isolamento tra le mura domestiche. «In un’ottica psicologica, non tutti hanno un tratto privato così spiccato. Ci sono persone che amano una casa conviviale, con la privacy da relegare ad un angolino, e altre hanno bisogno di lasciare gli altri fuori della porta e vivere tutto lo spazio della casa come una sfera profondamente intima. Riallacciandosi alla prossemica, è come se questa sfera si ingrandisse o si riducesse a seconda di tratti personali, del proprio vissuto».
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Difficile da comprovare con dati quantitativi, la correlazione tra privacy e benessere abitativo investe un tema di sottofondo più ampio che riguarda il sovraccarico emotivo. Perché, ci ricorda Alessandra Micalizzi, tutte le volte che condividiamo un nostro pezzettino di realtà con altri soggetti, noi stiamo rappresentando noi stessi, ci stiamo “mettendo in scena”. Un’attività che richiede uno sforzo rappresentativo, che coinvolge la dimensione dell’autentico. L’esperienza meditativa, ci conferma, è uno strumento oramai scientificamente comprovato per ritrovare una centratura, un senso del profondo. Che è poi quello che, oltre ai nostri beni e ai nostri affetti, la casa è chiamata a proteggere.
«Esistono alcune teorie psicanalitiche che raccontano la nostra anima come organizzata per stanze e sottolineano l’importanza per il nostro sé per ritrovare la stanza ultima, quella tutta per sé, illuminata dell’autentico e anche del sacro, dove è nascosta la nostra parte più aulica, valoriale, quella più profonda. E dove c’è nascosta anche l’elemento di mistero, dove proteggere un pezzo di sé in un ambiente domestico. Condivido dunque l’idea che sia possibile e necessario ritagliarsi una porzione di mistero. Quello che cambia, poi, possono essere le dimensioni di questo spazio, o il fatto che questo spazio sia in realtà un tempo, che da condiviso si fa strettamente personale».
Nella cacofonia di riunioni di lavoro sul tavolo di cucina, esercizi di scuola a distanza, pentole che sobbollono e conversazioni telefoniche nella stanza accanto, il lockdown ha accelerato il senso di soffocamento dei nostri spazi personali, offrendo occhiali nuovi con cui guardare alla nostra abitazione e alle sue dinamiche.
«Abitare e abito hanno la stessa radice: se la casa è un indossare ciò che ci rappresenta, il lockdown ci ha costretto a rifletterci in quell’immagine. E non sempre ci siamo riconosciuti in quell’immagine che la casa ci trasmetteva. Nella frenesia di una vita fatta di tanti ruoli sociali, le nostre attenzioni alla casa era spesso derubricate all’ultimo posto. Il lockdown ha accelerato questo sguardo consapevole», conclude Alessandra Micalizzi
«Abitare e abito hanno la stessa radice: se la casa è un indossare ciò che ci rappresenta, il lockdown ci ha costretto a rifletterci in quell’immagine. E non sempre ci siamo riconosciuti in quell’immagine che la casa ci trasmetteva. Nella frenesia di una vita fatta di tanti ruoli sociali, le nostre attenzioni alla casa era spesso derubricate all’ultimo posto. Il lockdown ha accelerato questo sguardo consapevole», conclude Alessandra Micalizzi
Condivide l’efficacia della metafora dell’abito anche l’architetto Alessandro Di Chio, fondatore con Marco Sarotto dello studio di architettura Idaa a Torino. Per coadiuvare i committenti nella messa a fuoco dei propri desiderata, lo studio utilizza da anni un questionario preliminare volto ad analizzare le esigenze e i desideri dei membri del nucleo familiare, ivi compresi quelli di privacy.
«La progettazione di una casa o la ristrutturazione di un appartamento è un po’ come un abito in cui ci sono una serie di accessori da configurare a seconda della persona che la utilizzerà. Per noi diventa fondamentale svolgere, nella primissima fase di incontro, un test, un questionario, destinato a tutti i componenti della famiglia, studiato per evidenziarne le rispettive richieste. Una volta elaborati i dati, cerchiamo di modellare lo spazio a seconda delle esigenze espresse, studiando i gradi di riservatezza emersi da possibili configurazioni, prestando attenzione alla dimensione uditiva, e magari scegliendo dei materiali che possano delineare ambienti più morbidi».
«La progettazione di una casa o la ristrutturazione di un appartamento è un po’ come un abito in cui ci sono una serie di accessori da configurare a seconda della persona che la utilizzerà. Per noi diventa fondamentale svolgere, nella primissima fase di incontro, un test, un questionario, destinato a tutti i componenti della famiglia, studiato per evidenziarne le rispettive richieste. Una volta elaborati i dati, cerchiamo di modellare lo spazio a seconda delle esigenze espresse, studiando i gradi di riservatezza emersi da possibili configurazioni, prestando attenzione alla dimensione uditiva, e magari scegliendo dei materiali che possano delineare ambienti più morbidi».
Chiediamo ad Alessandro Di Chio se, fermi restanti i vincoli dati da edifici preesistenti che non possono dunque essere ripensati ex novo, esistano strategie progettuali che permettono di modulare il bisogno di privacy. «Lavorando sulla dicotomia tra ambienti statici e dinamici, è possibile favorire la creazione di spazi il più possibile dinamici: ad esempio con dei setti scorrevoli, che possano dividere cucina, pranzo, e zona giorno. Un altro elemento spesso sottovalutato è quello della luce, poiché ogni spazio ha una sua specifica funzione che va illuminata e compartimentata. Naturalmente tutto dipende poi dalla committenza e dalla sua inclinazione a preferire lo spazio raccolto all’open space».
Oltre all’architettura, anche il design di interni e di prodotto si è impegnato nell’individuazione di soluzioni che possano coadiuvare il senso di privacy. Emblematico, in questo senso, è il ritorno dei divani con i braccioli rialzati e avvolgenti, o le poltrone dallo schienale talmente alto da costruire un piccolo muro protettivo intorno al nostro riposo o momento di lettura.
Nella produzione più sperimentale, poi, ha fatto notizia l’ideazione di nuovi cocoon da inserire negli spazi collettivi – come the Hut Alcove di Antoine Lesur e Marc Venot, o Nascondino di Pierre-Emmanuel Vandeputte, strutture avvolgenti appese al muro o appoggiate a terra entro le quali rifugiarsi temporaneamente per proteggersi dal contatto visivo e sonoro con il mondo che ci circonda.
Nella produzione più sperimentale, poi, ha fatto notizia l’ideazione di nuovi cocoon da inserire negli spazi collettivi – come the Hut Alcove di Antoine Lesur e Marc Venot, o Nascondino di Pierre-Emmanuel Vandeputte, strutture avvolgenti appese al muro o appoggiate a terra entro le quali rifugiarsi temporaneamente per proteggersi dal contatto visivo e sonoro con il mondo che ci circonda.
Oltre a questi prodotti concettuali, esistono diversi progetti che hanno cercato di standardizzare l’esigenza di privacy all’interno di arredi modulari compatti. Prototipo progettato da Giulia Pesce e Ruggero Bastita nel 2017 durante il loro Master in Industrial Design alla Designskolen Kolding, Patchwork è un abitacolo contemporaneo al servizio della nostra privacy. Ruggero Bastita racconta ad Houzz: «Abbiamo progettato tre pannelli caratterizzati ognuno da una densità di pattern diversa, ciascuna corrisponde a una diversa schermatura e a una possibilità di privacy differente. Inoltre, a ogni pannello si legano delle componenti funzionali aggiuntive, quali l’appendiabiti, il servomuto, la possibilità di annotare cose, appendere accessori».
Studiato per fornire una risposta alle esigenze di privacy dei centri per migranti e senza fissa dimora, Patchwork si adatta ugualmente ai coworking e a tutti i contesti – pensiamo alla vita degli studenti universitari – dove il desiderio di isolamento e intimità si fa cruciale.
Studiato per fornire una risposta alle esigenze di privacy dei centri per migranti e senza fissa dimora, Patchwork si adatta ugualmente ai coworking e a tutti i contesti – pensiamo alla vita degli studenti universitari – dove il desiderio di isolamento e intimità si fa cruciale.
Oggi attivi come Studio Nooi, Giulia Pesce e Ruggero Bastita mettono in evidenza quanto sia proprio attraverso lo studio di scenari estremi che è possibile mettere a fuoco esigenze e soluzioni capaci di offrire risposte a contesti più generici e comuni.
«Per progettare Parchwork abbiamo visitato diversi centri di accoglienza, partecipando a laboratori e rilevando come si articolavano le esigenze di privacy nelle camerate. Dal confronto con gli operatori e dal nostro lavoro sul terreno, abbiamo potuto rilevare un dato importante: quanto più un arredo trasferisce un valore, rispetta le esigenze anche di privacy di chi lo abita, tanto più lo spazio abitato viene percepito come accogliente, riesce a infondere benessere e viene vissuto con più cura».
Anche tu senti di aver bisogno di privacy in casa? Come ti sei organizzato per crearla? Scrivici nei Commenti.
Altro
Il Ritorno del Separé
4 Rifugi e Case Modulari che Insegnano ad Assaporare la Solitudine
«Per progettare Parchwork abbiamo visitato diversi centri di accoglienza, partecipando a laboratori e rilevando come si articolavano le esigenze di privacy nelle camerate. Dal confronto con gli operatori e dal nostro lavoro sul terreno, abbiamo potuto rilevare un dato importante: quanto più un arredo trasferisce un valore, rispetta le esigenze anche di privacy di chi lo abita, tanto più lo spazio abitato viene percepito come accogliente, riesce a infondere benessere e viene vissuto con più cura».
Anche tu senti di aver bisogno di privacy in casa? Come ti sei organizzato per crearla? Scrivici nei Commenti.
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Certamente, i confinamenti che si sono resi necessari per ragioni sanitarie hanno spinto questo bisogno all’estremo, pur sensibilizzando un nervo che per molti era già scoperto.
Oltre al lockdown, infatti, le ragioni dell’erosione della privacy sono molteplici. L’esplosione dei social e del digitale, da una parte, ha contribuito a moltiplicare il senso di esposizione di una vita sempre connessa, sempre orientata alla sollecitazione degli stimoli. Accanto, anche la continua riduzione dello spazio vitale disponibile, con gli appartamenti dei centri urbani che vedono progressivamente ridurre la loro superficie media, hanno reso più difficile isolarsi in una “stanza tutta per sé”. La crescita esponenziale del telelavoro, poi, ha reso la situazione ancora più incandescente, trasformando la ricerca della nostra pace interiore in una faccenda sempre più complicata.
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