Architettura e design
My Houzz in Olanda: Dove Abitano i Designer Formafantasma
Un celebre duo di designer, la loro casa-studio di Amsterdam, e quel gusto understated per una semplicità non esibita
Una ex fabbrica di stufe ad Amsterdam è lo spazio dove Formafantasma, tra i più noti studi di design italiano, lavora alla concezione dei propri progetti. Il co-fondatore Simone Farresin ci racconta come il duo si è riappropriato di questo laboratorio riconvertendolo ad accogliente e multifunzionale casa-atelier. Una conversazione che oltre a raccontare la nascita della loro casa studio spiega perché, secondo i due, la figura del designer è interprete delle dinamiche sociali e culturali del nostro tempo.
Foto di Anna Giulia Gregori
Colpo d’occhio
Chi ci abita: Andrea Trimarchi e Simone Farresin, fondatori di Studio Formafantasma
Dove: Amsterdam, Olanda
Superficie: 150 m² suddivisi in un grande open space, una cucina, un mezzanino, un soggiorno e una camera da letto, a cui si aggiunge un’estensione in giardino di 30 m² dove è stata realizzata una stanza per la modellazione.
Per scoprire come un designer vive e arreda la propria casa-studio, e per capire in che modo questo spazio rifletta la qualità e le prerogative del suo lavoro, abbiamo incontrato Simone Farresin.
Nella foto, una lampada vintage e un divano di Cassina
Colpo d’occhio
Chi ci abita: Andrea Trimarchi e Simone Farresin, fondatori di Studio Formafantasma
Dove: Amsterdam, Olanda
Superficie: 150 m² suddivisi in un grande open space, una cucina, un mezzanino, un soggiorno e una camera da letto, a cui si aggiunge un’estensione in giardino di 30 m² dove è stata realizzata una stanza per la modellazione.
Per scoprire come un designer vive e arreda la propria casa-studio, e per capire in che modo questo spazio rifletta la qualità e le prerogative del suo lavoro, abbiamo incontrato Simone Farresin.
Nella foto, una lampada vintage e un divano di Cassina
Da oltre dieci anni in Olanda, vi siete trasferiti da Eindhoven ad Amsterdam: cosa vi ha portato a cambiare città e come vi siete imbattuti nello spazio dove abitate?
Dopo molti anni passati ad Eindhoven, dove abbiamo studiato alla Design Academy Eindhoven, accademia di design dove oggi insegniamo, sentivamo il desiderio di trasferirci in una città più grande. La scelta di Amsterdam è stata dunque naturale. Trovare casa qui è molto complicato: c’è poca disponibilità di alloggi e il turismo rende molte località del centro scarsamente attrattive. Noi abbiamo avuto fortuna: ci siamo imbattuti in un annuncio online di un laboratorio che veniva dato in affitto esclusivamente ad artisti nel nord di Amsterdam, nel quartiere di Vogelbuurt, in una zona poco frequentata dai turisti eppure vicina al centro.
La nostra prima e unica visita si è trasformata in un colpo di fulmine e abbiamo finito per scegliere la prima casa che abbiamo visitato. Inizialmente eravamo orientati a usarla solo come studio, poi, viste anche le difficoltà per trovare case libere, abbiamo capito che questo spazio riusciva ad integrare armoniosamente entrambe le funzioni.
In primo piano sulla sinistra, il Wolffish Stool della collezione Craftica (2012). Sullo sfondo, la Plastic Armchair RAR di Charles e Ray Eames per Vitra e, sulla parete di destra, WireRing di Formafantasma per Flos (2017).
Dopo molti anni passati ad Eindhoven, dove abbiamo studiato alla Design Academy Eindhoven, accademia di design dove oggi insegniamo, sentivamo il desiderio di trasferirci in una città più grande. La scelta di Amsterdam è stata dunque naturale. Trovare casa qui è molto complicato: c’è poca disponibilità di alloggi e il turismo rende molte località del centro scarsamente attrattive. Noi abbiamo avuto fortuna: ci siamo imbattuti in un annuncio online di un laboratorio che veniva dato in affitto esclusivamente ad artisti nel nord di Amsterdam, nel quartiere di Vogelbuurt, in una zona poco frequentata dai turisti eppure vicina al centro.
La nostra prima e unica visita si è trasformata in un colpo di fulmine e abbiamo finito per scegliere la prima casa che abbiamo visitato. Inizialmente eravamo orientati a usarla solo come studio, poi, viste anche le difficoltà per trovare case libere, abbiamo capito che questo spazio riusciva ad integrare armoniosamente entrambe le funzioni.
In primo piano sulla sinistra, il Wolffish Stool della collezione Craftica (2012). Sullo sfondo, la Plastic Armchair RAR di Charles e Ray Eames per Vitra e, sulla parete di destra, WireRing di Formafantasma per Flos (2017).
Si dice sempre che per i designer o gli architetti sia molto difficile progettare per se stessi.
Condivido questa affermazione, spesso non è facile disegnare per sé, di qualsiasi cosa si tratti. Devo dire che la duttilità di questo spazio ci ha facilitato la vita, perché il grande open space e i due livelli si prestano ad una segmentazione e organizzazione dello spazio. In questa casa poi sono confluiti moltissimi oggetti che fanno parte del nostro archivio o che sono strumenti di lavoro: la loro collocazione ha preso piede in maniera spontanea e tutto il processo si è rivelato naturale.
Sulla destra, davanti al banco della cucina, il 1892 Stool della serie De Natura Fossilium
Condivido questa affermazione, spesso non è facile disegnare per sé, di qualsiasi cosa si tratti. Devo dire che la duttilità di questo spazio ci ha facilitato la vita, perché il grande open space e i due livelli si prestano ad una segmentazione e organizzazione dello spazio. In questa casa poi sono confluiti moltissimi oggetti che fanno parte del nostro archivio o che sono strumenti di lavoro: la loro collocazione ha preso piede in maniera spontanea e tutto il processo si è rivelato naturale.
Sulla destra, davanti al banco della cucina, il 1892 Stool della serie De Natura Fossilium
Abitate in una casa studio: l’osmosi tra vita privata e lavoro può essere un problema? Ci sono strategie che aiutano a separare queste due sfere?
Noi lavoriamo sei giorni su sette, di cui uno senza i nostri collaboratori, quindi il lavoro è una parte sostanziale della nostra vita e della nostra routine. Per riuscire a gestire questo equilibrio servono delle regole: la nostra è che noi non lavoriamo mai di sera. Allo stesso tempo, la struttura della casa su due piani aiuta a creare una separazione, visto che il lavoro è relegato al grande open space mentre la zona notte, articolata in una camera da letto e in un living, è al piano superiore. C’è un altro elemento, poi, che aiuta a rafforzare questa divisione: la regolazione della luce, che può contribuire a creare delle cortine nello spazio con dei coni d’ombra e degli spazi bui.
A sinistra, tavolo rettangolare 1123 xF costruito dai designer partendo dal disegno compreso nel libro Autoprogettazione? di Enzo Mari, Corraini, 1974
Noi lavoriamo sei giorni su sette, di cui uno senza i nostri collaboratori, quindi il lavoro è una parte sostanziale della nostra vita e della nostra routine. Per riuscire a gestire questo equilibrio servono delle regole: la nostra è che noi non lavoriamo mai di sera. Allo stesso tempo, la struttura della casa su due piani aiuta a creare una separazione, visto che il lavoro è relegato al grande open space mentre la zona notte, articolata in una camera da letto e in un living, è al piano superiore. C’è un altro elemento, poi, che aiuta a rafforzare questa divisione: la regolazione della luce, che può contribuire a creare delle cortine nello spazio con dei coni d’ombra e degli spazi bui.
A sinistra, tavolo rettangolare 1123 xF costruito dai designer partendo dal disegno compreso nel libro Autoprogettazione? di Enzo Mari, Corraini, 1974
C’è qualche tabù, qualcosa che ristrutturando e arredando casa vi siete detti fin da subito che non avreste voluto fare?
Sicuramente non volevamo una casa troppo disegnata, il classico tipo di abitazione che sembra progettata da un architetto ma non si presta a essere realmente vissuta. Crediamo inoltre che questo genere di casa non corrisponda al tipo di design che cerchiamo di sviluppare: il nostro approccio progettuale inizia inevitabilmente con un confronto sulle idee e un lavoro sul processo in cui la forma diventa un esito imprevisto, spesso non voluto e non ricercato.
Tuttavia, non sono sicuro che questa casa rispecchi necessariamente il nostro design: in questi mesi ci stiamo occupando del progetto di architettura di interni di una residenza privata e il risultato che sta emergendo è certamente diverso da quello della nostra abitazione.
Sicuramente non volevamo una casa troppo disegnata, il classico tipo di abitazione che sembra progettata da un architetto ma non si presta a essere realmente vissuta. Crediamo inoltre che questo genere di casa non corrisponda al tipo di design che cerchiamo di sviluppare: il nostro approccio progettuale inizia inevitabilmente con un confronto sulle idee e un lavoro sul processo in cui la forma diventa un esito imprevisto, spesso non voluto e non ricercato.
Tuttavia, non sono sicuro che questa casa rispecchi necessariamente il nostro design: in questi mesi ci stiamo occupando del progetto di architettura di interni di una residenza privata e il risultato che sta emergendo è certamente diverso da quello della nostra abitazione.
Guardando queste immagini, si rimane colpiti da quanto gli arredi non vogliano mettersi in bella mostra. Penso ad esempio alle librerie in metallo da ufficio, inaspettate.
Effettivamente, l’idea di una casa come “statement” – non saprei in quale altro modo dirlo – non ci appartiene. Non abbiamo pregiudizi rispetto a quale tipologia di oggetti sia accettabile e quale no. Fra i nostri pezzi esistono effettivamente librerie industriali in metallo che ci piacciono perché svolgono perfettamente il compito a cui sono chiamate. Inoltre non abbiamo opere d’arte o pezzi particolari da esibire. Oltre ai prototipi e agli oggetti di studio, molti degli oggetti disseminati in casa sono reperti dai nostri viaggi nel mondo, racconti di un’esperienza a cui ci piace ritornare.
Effettivamente, l’idea di una casa come “statement” – non saprei in quale altro modo dirlo – non ci appartiene. Non abbiamo pregiudizi rispetto a quale tipologia di oggetti sia accettabile e quale no. Fra i nostri pezzi esistono effettivamente librerie industriali in metallo che ci piacciono perché svolgono perfettamente il compito a cui sono chiamate. Inoltre non abbiamo opere d’arte o pezzi particolari da esibire. Oltre ai prototipi e agli oggetti di studio, molti degli oggetti disseminati in casa sono reperti dai nostri viaggi nel mondo, racconti di un’esperienza a cui ci piace ritornare.
Dove avete comprato la maggior parte dei vostri arredi?
Molti pezzi li abbiamo raccolti negli anni nei mercatini dell’usato, che in Olanda sono numerosissimi e dove si possono fare grandi affari. Abbiamo anche qualche pezzo dell’Ikea, alcuni tavoli di Enzo Mari che ci siamo costruiti da soli (i modelli di Autoprogettazione? del 1974) e, tra le sedie, qualche classico di Vitra e una riedizione di Jean Prouvé.
Molti pezzi li abbiamo raccolti negli anni nei mercatini dell’usato, che in Olanda sono numerosissimi e dove si possono fare grandi affari. Abbiamo anche qualche pezzo dell’Ikea, alcuni tavoli di Enzo Mari che ci siamo costruiti da soli (i modelli di Autoprogettazione? del 1974) e, tra le sedie, qualche classico di Vitra e una riedizione di Jean Prouvé.
La Sicilia riaffiora tra gli spazi di questo vecchio laboratorio: perché vi piace rievocarla e quale significato ha per voi?
Andrea è di origini siciliane e la Sicilia è stata la terra di ispirazione per alcuni nostri lavori (Moulding Tradition del 2010, dedicato alla tradizione ceramica delle Teste di Moro). Crediamo però che la Sicilia rifletta oggi le grandi tensioni che animano la contemporaneità a livello più generale: una terra arcaica dove la cultura contadina è quasi scomparsa, un artigianato che ha molti elementi di interesse ma che non sempre riesce a rinnovarsi e che resta spesso vincolato al mercato per turisti. Inoltre la presenza di un’industria quasi esclusivamente pesante e il fatto di essere una destinazione di prima accoglienza per i migranti la rendono un simbolo, un paradigma su cui riflettere. Una riflessione, crediamo, rilevante anche per i designer, che sono da sempre interpreti delle dinamiche sociali e culturali del loro tempo.
Andrea è di origini siciliane e la Sicilia è stata la terra di ispirazione per alcuni nostri lavori (Moulding Tradition del 2010, dedicato alla tradizione ceramica delle Teste di Moro). Crediamo però che la Sicilia rifletta oggi le grandi tensioni che animano la contemporaneità a livello più generale: una terra arcaica dove la cultura contadina è quasi scomparsa, un artigianato che ha molti elementi di interesse ma che non sempre riesce a rinnovarsi e che resta spesso vincolato al mercato per turisti. Inoltre la presenza di un’industria quasi esclusivamente pesante e il fatto di essere una destinazione di prima accoglienza per i migranti la rendono un simbolo, un paradigma su cui riflettere. Una riflessione, crediamo, rilevante anche per i designer, che sono da sempre interpreti delle dinamiche sociali e culturali del loro tempo.
Tra le lampade che avete a casa c’è anche WireRing per Flos, che è in genere considerato come il vostro primo lavoro in serie. Ci potete raccontare la genesi di questo progetto e come risponde alla vostra idea di luce dentro casa?
WireRing è un progetto che ha richiesto un periodo di incubazione e di studio particolarmente lungo. Il nostro desiderio era di ritrovare l’omologo con la luce a Led di una lampadina a bulbo con il cavo. Crediamo che come designer abbiamo la responsabilità, soprattutto se lavoriamo in un contesto industriale, di lanciare sul mercato oggetti che siano capaci di incarnare un’aspirazione di lunga durata. Per questo WireRing è un oggetto volutamente neutro, di grande semplicità formale, a cui corrisponde però un grosso lavoro di ingegnerizzazione che la rende un progetto tecnicamente avanzato.
Quanto al progetto della luce dentro la nostra casa, l’open space è sempre ben illuminato grazie al lucernario, quindi durante il giorno non abbiamo bisogno di intervenire con la luce artificiale. A livello generale, poi, preferiamo moltiplicare i punti luce, che ci permettono di regolare l’illuminazione a seconda della necessità e dell’umore.
WireRing è un progetto che ha richiesto un periodo di incubazione e di studio particolarmente lungo. Il nostro desiderio era di ritrovare l’omologo con la luce a Led di una lampadina a bulbo con il cavo. Crediamo che come designer abbiamo la responsabilità, soprattutto se lavoriamo in un contesto industriale, di lanciare sul mercato oggetti che siano capaci di incarnare un’aspirazione di lunga durata. Per questo WireRing è un oggetto volutamente neutro, di grande semplicità formale, a cui corrisponde però un grosso lavoro di ingegnerizzazione che la rende un progetto tecnicamente avanzato.
Quanto al progetto della luce dentro la nostra casa, l’open space è sempre ben illuminato grazie al lucernario, quindi durante il giorno non abbiamo bisogno di intervenire con la luce artificiale. A livello generale, poi, preferiamo moltiplicare i punti luce, che ci permettono di regolare l’illuminazione a seconda della necessità e dell’umore.
Un elemento che scandisce i vostri ambienti è il verde: quale importanza hanno le piante nell’architettura di interni e come le avete usate qui?
Le piante ci piacciono moltissimo e ci piace molto occuparcene. Sono un elemento vivo che mostra la cura che le persone hanno per l’ambiente in cui abitano. Per un ospite che varca una soglia, un segno rivelatore di come i padroni di casa sappiano prendersi cura non solo dello spazio, ma anche delle persone.
Raccontaci: conosci il lavoro di Formafantasma? Cosa ne pensi dei loro progetti? Scrivici nei Commenti.
Le piante ci piacciono moltissimo e ci piace molto occuparcene. Sono un elemento vivo che mostra la cura che le persone hanno per l’ambiente in cui abitano. Per un ospite che varca una soglia, un segno rivelatore di come i padroni di casa sappiano prendersi cura non solo dello spazio, ma anche delle persone.
Raccontaci: conosci il lavoro di Formafantasma? Cosa ne pensi dei loro progetti? Scrivici nei Commenti.
Da oltre dieci anni in Olanda, nel 2015 il duo si è trasferito ad Amsterdam, dove si è insediato in una vecchia fabbrica di stufe oggi riconvertita a studio e abitazione. Un grande laboratorio, illuminato da ampie vetrate e dalla luce zenitale di un lucernario, che di giorno accoglie loro e i loro collaboratori, mentre la sera retrocede in un ambiente più raccolto delimitato dalle due stanze ubicate al piano superiore. Senza alcuna volontà di esibirsi, lo spazio si caratterizza per l’armonica convivenza tra prototipi, pezzi di design anonimo e qualche grande classico, per un gusto semplice e non urlato, perfettamente in bilico tra grandi archetipi di artigianato e produzione industriale.
Sul terzo scaffale della libreria, alcuni pezzi dello studio. Da sinistra, lo Sponge Stool della serie Craftica (2012), il vaso Botanica 1 della collezione Botanica (2011), i Bladder water containers della collezione Craftica (2012).