Architettura Umanitaria: Perché Secondo Tom Pritzker Questo è il Futuro
La questione sociale dell'abitare: dalle produzioni dell’edilizia illuministica degli inizi del ‘900 alle nuove prospettive del XXI secolo
Laura Tallarida
27 gennaio 2016
Houzz Italia Contributor. Sono un architetto e mi piace progettare evitando ogni tipo di spreco, riutilizzando e riciclando i materiali per adattarli a nuovi usi.
Houzz Italia contributor. I am an architect and my projects are conceived to avoid waste, to recycle and reuse materials for new purposes.
Houzz Italia Contributor. Ich bin eine Architektin und beim planen, ich mag jede Art von Vergeudung vermeiden, ich mag recyclen und alle Werkstoffe weiterverwenden, um sie ein neues Leben zu geben.
Houzz Italia Contributor. Sono un architetto e mi piace progettare evitando ogni... Altro
Alejandro Aravena, architetto libero professionista dal 1994, ha vinto il premio Pritzker 2016.
«Il lavoro del signor Aravena offre opportunità economiche alle persone meno privilegiate, mitiga gli effetti dei disastri naturali, riduce i consumi energetici e genera spazi pubblici accoglienti». Queste le motivazioni che ha dato Tom Pritzker, il presidente della Fondazione Hyatt che sponsorizza il premio.
È il terzo anno consecutivo che un premio così prestigioso – il “Nobel” per gli architetti – viene consegnato a professionisti che hanno messo al centro della propria attività la missione ambientale, sociale ed economica, anche se in modi completamente diversi. Nel 2014 è toccato al “pragmatico idealista” giapponese Shigeru Ban e alla sua architettura umanitaria; nel 2015 al “visionario” tedesco Frei Otto e alla leggerezza della sua architettura; quest’anno a chi, dal profondo Cile, è riuscito a mostrare «come l’architettura nella sua più alta espressione possa migliorare la vita delle persone».
Sembra proprio che l’architettura internazionale stia riportando in auge un suo vecchio tormento: risolvere in modo dignitoso il problema sociale dell’abitare. Come? Ecco i capisaldi di questa tendenza.
«Il lavoro del signor Aravena offre opportunità economiche alle persone meno privilegiate, mitiga gli effetti dei disastri naturali, riduce i consumi energetici e genera spazi pubblici accoglienti». Queste le motivazioni che ha dato Tom Pritzker, il presidente della Fondazione Hyatt che sponsorizza il premio.
È il terzo anno consecutivo che un premio così prestigioso – il “Nobel” per gli architetti – viene consegnato a professionisti che hanno messo al centro della propria attività la missione ambientale, sociale ed economica, anche se in modi completamente diversi. Nel 2014 è toccato al “pragmatico idealista” giapponese Shigeru Ban e alla sua architettura umanitaria; nel 2015 al “visionario” tedesco Frei Otto e alla leggerezza della sua architettura; quest’anno a chi, dal profondo Cile, è riuscito a mostrare «come l’architettura nella sua più alta espressione possa migliorare la vita delle persone».
Sembra proprio che l’architettura internazionale stia riportando in auge un suo vecchio tormento: risolvere in modo dignitoso il problema sociale dell’abitare. Come? Ecco i capisaldi di questa tendenza.
Come rendere accessibile a un gran numero di persone con reddito basso delle abitazioni soddisfacenti è uno dei temi principali dell’architettura dai primi anni del Novecento. Sono gli anni di forte industrializzazione e di sovrappopolazione delle città. Sono gli anni del Bauhaus, gli anni in cui architetti illustri come Walter Gropius, Konrad Wachsmann e Ludwig Mies van der Rohe cercano di dare una soluzione al problema sociale della casa proponendo un nuovo schema di lavoro che lega la progettazione alla produzione di serie.
Il problema: la mancanza di casa
L’edificio viene scomposto in parti, ognuna può essere realizzata singolarmente e migliorata in efficienza. Al termine della produzione, tutti questi elementi (infissi, pareti, impianti, coperture,…) possono essere riorganizzati in infiniti modi grazie alla progettazione di professionisti. Ha inizio l’industrializzazione del manufatto edilizio.
Questa idea piace tanto ai governi socialisti e la prefabbricazione e l’industrializzazione del manufatto diviene la soluzione più veloce a problemi sociali urgenti e a tratti, sopratutto nella Germania del dopoguerra, drammatici. Nascono i Plattenbau: le costruzioni in pannelli prefabbricati, e le distese di edifici tutti uguali.
L’edificio viene scomposto in parti, ognuna può essere realizzata singolarmente e migliorata in efficienza. Al termine della produzione, tutti questi elementi (infissi, pareti, impianti, coperture,…) possono essere riorganizzati in infiniti modi grazie alla progettazione di professionisti. Ha inizio l’industrializzazione del manufatto edilizio.
Questa idea piace tanto ai governi socialisti e la prefabbricazione e l’industrializzazione del manufatto diviene la soluzione più veloce a problemi sociali urgenti e a tratti, sopratutto nella Germania del dopoguerra, drammatici. Nascono i Plattenbau: le costruzioni in pannelli prefabbricati, e le distese di edifici tutti uguali.
Eppure la storia ci mostra come l’applicazione di questi modelli anziché soddisfare i bisogni umani, provoca la perdita di identità, l’impoverimento culturale, la banalizzazione della città. Tra la fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta una nuova forza intellettuale comincia a riflettere sui limiti dell’idea illuminista del progetto e sull’incapacità da parte dello Stato di produrre soluzioni che soddisfino veramente le esigenze fondamentali delle persone.
Studiosi come Turner, Ward, Illich danno una rilettura dell’housing che è «un verbo e non un nome, che dovrebbe essere valutato per ciò che fa nella vita delle persone e non per ciò che è» (Turner, Fichter 1972).
In questo fermento intellettuale, animato da sostenitori e critici da ogni parte politica e sociale, nasce una nuova ricerca progettuale architettonica che arriva fino ad oggi, ma che è partita alla fine degli anni Sessanta dal sud del mondo.
Studiosi come Turner, Ward, Illich danno una rilettura dell’housing che è «un verbo e non un nome, che dovrebbe essere valutato per ciò che fa nella vita delle persone e non per ciò che è» (Turner, Fichter 1972).
In questo fermento intellettuale, animato da sostenitori e critici da ogni parte politica e sociale, nasce una nuova ricerca progettuale architettonica che arriva fino ad oggi, ma che è partita alla fine degli anni Sessanta dal sud del mondo.
Idea 1: “la casa incrementale”
È il 1968, lo stato peruviano e l’ONU indicono un concorso, Previ-Lima, con l’intento di risolvere quattro punti specifici del problema della casa: la carenza di alloggi, gli insediamenti non controllati, l’ammassamento e la costruzione di baracche, gli eventi contingenti e le calamità. Problemi molto sentiti nei paesi dell’America Latina. Trentacinque anni dopo, l’università di Santiago, riorganizza un nuovo concorso sullo stesso tema: Elemental-Chile. Alejandro Aravena risponde al bando con un progetto residenziale molto austero: un’immagine oggi completamente alterata dalle famiglie che si sono insediate.
Aravena realizza la struttura principale: la base indispensabile per cominciare una nuova vita, quella che da soli persone così povere non sarebbero in grado di costruire. Gli abitati hanno la libertà di interpretarla, ampliando la casa a propria immagine e somiglianza. Tutto questo grazie a laboratori di appoggio tecnico e progettuale coordinati da Aravena e dagli altri architetti di Elemental.
Un nuovo modo di costruire comincia a farsi avanti: è la “casa incrementale”. Man mano che le possibilità economiche degli abitanti crescono, le abitazioni prefabbricate si arricchiscono cancellando i loro segni di povertà.
Nella foto: Case di Quinta Monroy (2004); Inquique, Cile
È il 1968, lo stato peruviano e l’ONU indicono un concorso, Previ-Lima, con l’intento di risolvere quattro punti specifici del problema della casa: la carenza di alloggi, gli insediamenti non controllati, l’ammassamento e la costruzione di baracche, gli eventi contingenti e le calamità. Problemi molto sentiti nei paesi dell’America Latina. Trentacinque anni dopo, l’università di Santiago, riorganizza un nuovo concorso sullo stesso tema: Elemental-Chile. Alejandro Aravena risponde al bando con un progetto residenziale molto austero: un’immagine oggi completamente alterata dalle famiglie che si sono insediate.
Aravena realizza la struttura principale: la base indispensabile per cominciare una nuova vita, quella che da soli persone così povere non sarebbero in grado di costruire. Gli abitati hanno la libertà di interpretarla, ampliando la casa a propria immagine e somiglianza. Tutto questo grazie a laboratori di appoggio tecnico e progettuale coordinati da Aravena e dagli altri architetti di Elemental.
Un nuovo modo di costruire comincia a farsi avanti: è la “casa incrementale”. Man mano che le possibilità economiche degli abitanti crescono, le abitazioni prefabbricate si arricchiscono cancellando i loro segni di povertà.
Nella foto: Case di Quinta Monroy (2004); Inquique, Cile
Idea 2: l’autocostruzione
Reinterpretare in maniera innovativa e partecipativa la questione sociale dell’abitare è la strada che molti stati iniziano a percorrere. L’attenzione si sposta dall’assetto dell’aggregato abitativo al trasferimento assistito di tecnologie costruttive partecipate, facili, economiche e sostenibili.
Nasce il concetto di “tecnologie appropriate” ovvero la riproposizione migliorata di tecnologie tradizionali che si basano sulle tradizioni costruttive e sul reperimento di materiale locale. Nei Paesi del Sud del mondo vengono riproposte nuove costruzioni in adobe, come quelle realizzate con sacchi di sabbia da Nader Khalili, in bambù o tecnologie ibride che mescolano la tradizione con l’innovazione. Là dove il mercato è poco organizzato e non tende ad imporre modalità e modelli preconfezionati, è più facile sperimentare e si formano laboratori di studio che vedono protagonisti professori e studenti di scuole di architettura e comunità locali – come i laboratori progettuali e costruttivi di Rural Studio, per citarne uno.
Reinterpretare in maniera innovativa e partecipativa la questione sociale dell’abitare è la strada che molti stati iniziano a percorrere. L’attenzione si sposta dall’assetto dell’aggregato abitativo al trasferimento assistito di tecnologie costruttive partecipate, facili, economiche e sostenibili.
Nasce il concetto di “tecnologie appropriate” ovvero la riproposizione migliorata di tecnologie tradizionali che si basano sulle tradizioni costruttive e sul reperimento di materiale locale. Nei Paesi del Sud del mondo vengono riproposte nuove costruzioni in adobe, come quelle realizzate con sacchi di sabbia da Nader Khalili, in bambù o tecnologie ibride che mescolano la tradizione con l’innovazione. Là dove il mercato è poco organizzato e non tende ad imporre modalità e modelli preconfezionati, è più facile sperimentare e si formano laboratori di studio che vedono protagonisti professori e studenti di scuole di architettura e comunità locali – come i laboratori progettuali e costruttivi di Rural Studio, per citarne uno.
La ricerca di sistemi costruttivi poco costosi, accessibili a tutti, ecologici facili da lavorare e da assemblare per poter essere autocostruiti, porta anche alla sperimentazione di materiali non convenzionali.
Shigeru Ban propone in diverse zone colpite da catastrofi naturali le sue abitazioni temporanee costruite con tubi di cartone. Alla base della sua proposta una semplice riflessione: «Dopo una calamità, la scarsa disponibilità fa sempre aumentare i prezzi dei materiali da costruzione. Ma i tubi di carta non sono normali materiali da costruzione, quindi rimangono di facile reperimento anche dopo un evento di questo tipo. E costano pochissimo». Anche la facilità con cui questi pezzi possono essere lavorati e assemblati influisce sulla scelta. «I bambini ci hanno aiutato a riempire i tubi di carta straccia per renderli più isolanti. È semplicissimo: basta metterci dentro qualunque materiale e questo fa da isolante».
Shigeru Ban propone in diverse zone colpite da catastrofi naturali le sue abitazioni temporanee costruite con tubi di cartone. Alla base della sua proposta una semplice riflessione: «Dopo una calamità, la scarsa disponibilità fa sempre aumentare i prezzi dei materiali da costruzione. Ma i tubi di carta non sono normali materiali da costruzione, quindi rimangono di facile reperimento anche dopo un evento di questo tipo. E costano pochissimo». Anche la facilità con cui questi pezzi possono essere lavorati e assemblati influisce sulla scelta. «I bambini ci hanno aiutato a riempire i tubi di carta straccia per renderli più isolanti. È semplicissimo: basta metterci dentro qualunque materiale e questo fa da isolante».
Lo sviluppo della politica del self-help appartiene anche ai paesi più ricchi. Qui la tecnologia “facile” e autocostruibile presa come riferimento è il sistema di prefabbricazione in legno. Le strutture in legno richiedono solo lavorazioni a secco come avvitature, incollaggi, incastri, sono facili da manovrare e si possono adattare a vari tipi di terreno perché non richiedono fondazioni molto profonde. Insieme al legno, recentemente, si sono sempre più diffuse anche le esperienze di autocostruzione in terra cruda e balle di paglia, sistemi costruttivi molto facili e sopratutto più ecologici.
Leggi anche: La Rivincita delle Case di Paglia e la Vera Storia dei Tre Porcellini
Leggi anche: La Rivincita delle Case di Paglia e la Vera Storia dei Tre Porcellini
Idea 3: ascoltare le associazioni degli abitanti
La possibilità di autocostruire la propria abitazione e di autorganizzarsi socialmente sta innovando le politiche dal basso: nuove e inedite forme ibride di relazione tra pubblico e privato e tra cittadini e istituzioni coinvolgono sempre più stati. Così nei paesi più poveri si assiste alla nascita di programmi comunitari spesso promossi da associazioni non governative che cercano di creare, negli insediamenti informali, servizi sociali e attività micro imprenditoriali coinvolgendo i residenti e in alcuni casi arrivando anche ad ottenere aiuti da parte dei governi. Nei paesi più ricchi, invece, si assiste alla formazione di associazioni guidate unite insieme più che dalla semplice esigenza dell’abitare, dal desiderio di vivere in un modo nuovo.
Gli esempi di co-housing, di autorganizzazione e autodeterminazione delle comunità così come le revisioni del diritto di proprietà e del trattamento delle occupazioni abusive, le sperimentazioni di soluzioni eco-efficienti e di forme di pianificazione aperta, che associazioni, professionisti e mediatori pubblici stanno portando avanti, sono tutti segnali di nuove tendenze rivolte a politiche abitative più tolleranti e flessibili. Migliorare gli insediamenti esistenti piuttosto che sradicarli, non separare il tema dell’abitare a costi accessibili da quello della sostenibilità sociale e ambientale, sono i due obiettivi primari di tutte queste organizzazioni abitative.
Se ti interessa sapere qualcosa di più sul co-housing puoi leggere: Houzz Eco: Insieme è Meglio! L’Avventura Collettiva del Co-housing
La possibilità di autocostruire la propria abitazione e di autorganizzarsi socialmente sta innovando le politiche dal basso: nuove e inedite forme ibride di relazione tra pubblico e privato e tra cittadini e istituzioni coinvolgono sempre più stati. Così nei paesi più poveri si assiste alla nascita di programmi comunitari spesso promossi da associazioni non governative che cercano di creare, negli insediamenti informali, servizi sociali e attività micro imprenditoriali coinvolgendo i residenti e in alcuni casi arrivando anche ad ottenere aiuti da parte dei governi. Nei paesi più ricchi, invece, si assiste alla formazione di associazioni guidate unite insieme più che dalla semplice esigenza dell’abitare, dal desiderio di vivere in un modo nuovo.
Gli esempi di co-housing, di autorganizzazione e autodeterminazione delle comunità così come le revisioni del diritto di proprietà e del trattamento delle occupazioni abusive, le sperimentazioni di soluzioni eco-efficienti e di forme di pianificazione aperta, che associazioni, professionisti e mediatori pubblici stanno portando avanti, sono tutti segnali di nuove tendenze rivolte a politiche abitative più tolleranti e flessibili. Migliorare gli insediamenti esistenti piuttosto che sradicarli, non separare il tema dell’abitare a costi accessibili da quello della sostenibilità sociale e ambientale, sono i due obiettivi primari di tutte queste organizzazioni abitative.
Se ti interessa sapere qualcosa di più sul co-housing puoi leggere: Houzz Eco: Insieme è Meglio! L’Avventura Collettiva del Co-housing
Risultato: l’etica incontra l’architettura
La storia dell’architettura sociale sta continuando la sua strada e siccome non è un problema di facile soluzione, sicuramente avrà molti altri sviluppi e ci mostrerà altri aspetti che forse ora non siamo in grado di vedere. Fino ad oggi – e sembra proprio che gli ultimi tre premi Pritzker lo abbiano voluto sottolineare – ci ha mostrato come sia necessario prendere coscienza delle responsabilità etiche e sociali della progettazione architettonica per poter contribuire a migliorare veramente le condizioni di vita delle comunità più disagiate.
La storia dell’architettura sociale sta continuando la sua strada e siccome non è un problema di facile soluzione, sicuramente avrà molti altri sviluppi e ci mostrerà altri aspetti che forse ora non siamo in grado di vedere. Fino ad oggi – e sembra proprio che gli ultimi tre premi Pritzker lo abbiano voluto sottolineare – ci ha mostrato come sia necessario prendere coscienza delle responsabilità etiche e sociali della progettazione architettonica per poter contribuire a migliorare veramente le condizioni di vita delle comunità più disagiate.
Quando poco prima che morisse, è stato consegnato a Frei Otto il premio Pritzker 2015, lui ha ringraziato così: «Sono felice di ricevere questo premio e ringrazio la giuria e la famiglia Pritzker. Non ho mai fatto nulla per ottenere questo premio. Il mio obiettivo architettonico è stato quello di progettare nuovi tipi di edifici per aiutare i più poveri, in particolare in seguito a calamità naturali e catastrofi. Cosa potevo chiedere di più oltre a questo premio? Userò il tempo che mi resta per continuare a fare quello che ho fatto, aiutare l’umanità. Avete qui un uomo felice».
Per conoscere meglio il vincitore del 2016 leggi: Premio Pritzker per l’Architettura: The Winner Is… Alejandro Aravena
Per conoscere meglio il vincitore del 2016 leggi: Premio Pritzker per l’Architettura: The Winner Is… Alejandro Aravena
Articoli correlati
Houzz per i Pro
D.A. Chipperfield è Pritzker Prize 2023 e C'entra Anche l'Italia
Pritzker Prize a David Chipperfield per la sua capacità di unire antico e contemporaneo, ambiente e architettura
Leggi Tutto
Architettura e design
Come Diventare un Collezionista di Design
Design da collezione ed editoriale, conoscerli per amore del bello e della qualità ma non solo
Leggi Tutto
Lavorare con i Pro
Quanto Costa Lavorare con un Architetto?
Cosa (e quanto) aspettarsi dalla parcella di un architetto, spiegato direttamente dai progettisti,
Leggi Tutto
Houzz per i Pro
Curiosità Dietro a 5 Prestigiosi Premi Internazionali di Design
Cinque premi al design e i loro dettagli: protocolli, musei, criteri di selezione, pro e contro
Leggi Tutto
Ristrutturare
Le Tecnologie per Risparmiare Acqua e Combattere la Siccità
di Sara Pizzo
Tecnologie per la casa resiliente che risparmia acqua e combatte la siccità
Leggi Tutto
Lifestyle
Condividere con i Vicini: 6 Idee che Fanno Bene a Te e al Pianeta
di Houzz Italia
Dai libri agli attrezzi fino agli orti condivisi, ci sono molti modi in cui le comunità possono unirsi e fare del bene
Leggi Tutto
Houzz per i Pro
Condomini in Legno: Come Costruire Eco Oltre i 20 Piani
Le costruzioni in legno raggiungono nuove dimensioni e possono essere anche multipiano
Leggi Tutto
Houzz Eco
Contro il Caldo Torrido? Torna l’Architettura Vernacolare
Dalle tradizioni costruttive del Mediterraneo fino agli studi della fisica: per difendersi dal caldo è necessario vestire la casa di bianco
Leggi Tutto
Fiere ed eventi
Chi (e Perché) Ha Vinto l'Ultima Edizione del Compasso d'Oro
Il Compasso d'Oro per una progettazione sostenibile, orientata a risolvere problemi e a semplificare la vita e il lavoro
Leggi Tutto
Architettura e design
Come Progettano i Giovani Designer?
Il futuro del design nelle parole dei giovani intercettati attraversando il Salone Satellite e la città di Milano
Leggi Tutto
Davvero molto interessante
E' il terzo articolo consecutivo di quest'autrice che leggo oggi. In ognuna di queste letture, differenti tra loro per l'argomento trattato, ho notato un filo conduttore: la sensibilità e l'attenzione agli aspetti più naturali, o quantomeno a ciò che vorremmo tutti fossero ancora considerabili tali, dell'abitare. I miei più vivi complimenti e ringraziamenti.