Rosanna Castrini, la Fotografa che Mostra l'Emotività dei Fiori
Intervista a Rosanna Castrini, landscape designer e fotografa di fama internazionale che svela i segreti del mestiere
Le sue foto ammaliano per l’atmosfera magica e romantica, per la precisione dei dettagli, i colori suadenti e pieni. Oltre all’attività di fotografa è paesaggista e durante la sua attività pluridecennale ha disegnato e realizzato centinaia di giardini.
Rosanna Castrini è una fotografa che non segue le norme classiche e statutarie della fotografia d’esterni, perché il suo sguardo è nato come giardiniera. «Il giardino resta al primo posto, al centro del mio universo culturale ed estetico, ed è questo che mi differenzia dal fotografo di formazione: per me le capacità tecniche sono esclusivamente e imperiosamente al servizio del giardino e del giardiniere (intesi in senso lato), e in una sorta di simbiosi emozionale che tende alla massima valorizzazione di entrambi», ci racconta, parlando del suo rapporto con la fotografia.
I suoi scatti hanno ricevuto numerosi premi, tra cui nel 2014 l’International Garden Photographer of the Year: Images of a Green Planet (IGPOTY). Per lo stesso premio, ma nella categoria Beautiful gardens, è stata finalista nel 2016.
Il suo giardino è in Val Pellice. Attualmente collabora con le più prestigiose riviste del settore.
Rosanna Castrini è una fotografa che non segue le norme classiche e statutarie della fotografia d’esterni, perché il suo sguardo è nato come giardiniera. «Il giardino resta al primo posto, al centro del mio universo culturale ed estetico, ed è questo che mi differenzia dal fotografo di formazione: per me le capacità tecniche sono esclusivamente e imperiosamente al servizio del giardino e del giardiniere (intesi in senso lato), e in una sorta di simbiosi emozionale che tende alla massima valorizzazione di entrambi», ci racconta, parlando del suo rapporto con la fotografia.
I suoi scatti hanno ricevuto numerosi premi, tra cui nel 2014 l’International Garden Photographer of the Year: Images of a Green Planet (IGPOTY). Per lo stesso premio, ma nella categoria Beautiful gardens, è stata finalista nel 2016.
Il suo giardino è in Val Pellice. Attualmente collabora con le più prestigiose riviste del settore.
Lo sguardo di chi fotografa i giardini e di chi li coltiva sono in genere assai diversi. Tu fai entrambe le cose. Cosa cambia nel tuo modo di fotografare e di fare giardinaggio attraverso questo duplice punto di osservazione?
«Il giardino e la sua idealizzazione sono parte integrante della mia vita, presenti ben prima e ben più radicalmente della fotografia, tanto è vero che, per molto tempo, mi sono accontentata del medium fotografico come semplice documentazione del mio lavoro di progettista. Poi, assistendo al definitivo imporsi dell’immagine come mezzo espressivo d’elezione nelle reti della comunicazione globale, ho capito che potevo manifestare i miei interessi anche attraverso la “rappresentazione”, e non solo con la coltivazione o il design. Come conseguenza, adesso l’elemento luce ha assunto una nuova connotazione anche nel mio modo di fare giardino, perché è percepito non più come generico parametro integrato nella grammatica compositiva, ma come vaglio cui sottoporre idee e scenari immaginati».
«Il giardino e la sua idealizzazione sono parte integrante della mia vita, presenti ben prima e ben più radicalmente della fotografia, tanto è vero che, per molto tempo, mi sono accontentata del medium fotografico come semplice documentazione del mio lavoro di progettista. Poi, assistendo al definitivo imporsi dell’immagine come mezzo espressivo d’elezione nelle reti della comunicazione globale, ho capito che potevo manifestare i miei interessi anche attraverso la “rappresentazione”, e non solo con la coltivazione o il design. Come conseguenza, adesso l’elemento luce ha assunto una nuova connotazione anche nel mio modo di fare giardino, perché è percepito non più come generico parametro integrato nella grammatica compositiva, ma come vaglio cui sottoporre idee e scenari immaginati».
Qual è per te la situazione ideale per uno scatto? Quali emozioni vuoi raccontare attraverso le tue immagini?
«La situazione ideale per uno scatto è certamente legata alle condizioni di luce solare: non importa che sia primavera o autunno, che il giardino sia grande o piccolo, fiorito o nella sua scarna veste invernale, l’importante è poter disporre delle ore dorate, all’alba o al tramonto, quando i raggi radenti trasfigurano la realtà in suggestioni pittoriche irripetibili. Nessun filtro, nessuna saturazione o intervento con Photoshop potranno mai dare gli stessi effetti! Quando uno scatto condensa in fulminea sintesi la magia di un racconto fiabesco, sono felice».
«La situazione ideale per uno scatto è certamente legata alle condizioni di luce solare: non importa che sia primavera o autunno, che il giardino sia grande o piccolo, fiorito o nella sua scarna veste invernale, l’importante è poter disporre delle ore dorate, all’alba o al tramonto, quando i raggi radenti trasfigurano la realtà in suggestioni pittoriche irripetibili. Nessun filtro, nessuna saturazione o intervento con Photoshop potranno mai dare gli stessi effetti! Quando uno scatto condensa in fulminea sintesi la magia di un racconto fiabesco, sono felice».
Quando scatti sei completamente assorbita dal “momento” tecnico o ti lasci trasportare dall’emozione?
«Quando entro in un giardino per la prima volta sono emozionata e trepidante, come lo si è nell’istante in cui un desiderio di bellezza e di scoperta sta per essere appagato, ma poi subito l’istinto fotografico prende il sopravvento: corro di qua e di là senza sosta, ben sapendo che devo fare in fretta perché la “luce buona”, alle nostre latitudini, può durare al massimo mezz’ora. Tanto, forse, per un piccolo giardino, poco se si parla di ettari. Anche per questo non uso quasi mai il treppiede: mi rallenta nei movimenti e mi limita nelle inquadrature. Sono ossessionata dalla luce: quasi sempre ritorno sui miei passi a distanza di un’ora o più, perché sono sicura che altri dettagli, altre qualità pittoriche verranno fuori in quegli stessi punti d’osservazione, proprio grazie alle mutate angolazione e intensità delle radiazioni».
«Quando entro in un giardino per la prima volta sono emozionata e trepidante, come lo si è nell’istante in cui un desiderio di bellezza e di scoperta sta per essere appagato, ma poi subito l’istinto fotografico prende il sopravvento: corro di qua e di là senza sosta, ben sapendo che devo fare in fretta perché la “luce buona”, alle nostre latitudini, può durare al massimo mezz’ora. Tanto, forse, per un piccolo giardino, poco se si parla di ettari. Anche per questo non uso quasi mai il treppiede: mi rallenta nei movimenti e mi limita nelle inquadrature. Sono ossessionata dalla luce: quasi sempre ritorno sui miei passi a distanza di un’ora o più, perché sono sicura che altri dettagli, altre qualità pittoriche verranno fuori in quegli stessi punti d’osservazione, proprio grazie alle mutate angolazione e intensità delle radiazioni».
Che altri elementi cerchi oltre la luce?
«L’elemento luce è sempre prioritario, perché determina la qualità di una foto a parità di inquadratura; poi, certamente, è fondamentale la composizione, che deve essere pittoricamente armoniosa e volta alla valorizzazione del giardino, con la tassativa esclusione di tutto ciò che non è esteticamente pertinente (elettrodotti, tetti e case limitrofi, grondaie, recinzioni, ecc.). In genere cerco di comporre l’immagine partendo da una fioritura, poiché quest’ultima diventerà il fulcro della futura fruizione visiva. Difficilissimo, invece, il “tutto verde” (prato, arbusti, alberi), che non dà mai buoni risultati, e che, pertanto, rifuggo appena possibile».
«L’elemento luce è sempre prioritario, perché determina la qualità di una foto a parità di inquadratura; poi, certamente, è fondamentale la composizione, che deve essere pittoricamente armoniosa e volta alla valorizzazione del giardino, con la tassativa esclusione di tutto ciò che non è esteticamente pertinente (elettrodotti, tetti e case limitrofi, grondaie, recinzioni, ecc.). In genere cerco di comporre l’immagine partendo da una fioritura, poiché quest’ultima diventerà il fulcro della futura fruizione visiva. Difficilissimo, invece, il “tutto verde” (prato, arbusti, alberi), che non dà mai buoni risultati, e che, pertanto, rifuggo appena possibile».
C’è qualcosa che non manca mai di sorprenderti?
«Mi sorprende sempre, e mi affascina l’irripetibilità di uno scatto: lo strumento che nacque idealmente per rendere replicabile all’infinito la realtà (a differenza della pittura), alla fine si è rivelato qualcosa di molto poco meccanico…».
«Mi sorprende sempre, e mi affascina l’irripetibilità di uno scatto: lo strumento che nacque idealmente per rendere replicabile all’infinito la realtà (a differenza della pittura), alla fine si è rivelato qualcosa di molto poco meccanico…».
Ci sveli un segreto del mestiere per fare un close-up che lasci tutti a bocca aperta?
«Innanzitutto parliamo di un close-up fatto sul campo, e non in studio (che è tutt’altra cosa e che a me interessa assai poco): prima ancora di pensare al soggetto, ci dobbiamo preoccupare dello sfondo, perché soltanto la natura e la qualità di quest’ultimo potranno trasformare un semplice scatto in qualcosa di esteticamente gradevole; successivamente valuteremo il diaframma, che ci permette di lavorare proprio come fa un pittore sulla tela; ultima cosa, luce laterale o controluce, sempre con raggi radenti; oppure ombra luminosa; banditi il flash e la luce diretta sul soggetto».
«Innanzitutto parliamo di un close-up fatto sul campo, e non in studio (che è tutt’altra cosa e che a me interessa assai poco): prima ancora di pensare al soggetto, ci dobbiamo preoccupare dello sfondo, perché soltanto la natura e la qualità di quest’ultimo potranno trasformare un semplice scatto in qualcosa di esteticamente gradevole; successivamente valuteremo il diaframma, che ci permette di lavorare proprio come fa un pittore sulla tela; ultima cosa, luce laterale o controluce, sempre con raggi radenti; oppure ombra luminosa; banditi il flash e la luce diretta sul soggetto».
«Un diaframma molto aperto (al massimo possibile del nostro obiettivo), dà un accento di nitidezza là dove desideriamo porlo, e sfuma tutto il resto in modo più o meno evidente a seconda dell’obiettivo usato, conferendo alla foto la gradevolezza di un acquerello o di un pastello.
Ho detto prima dell’importanza dello sfondo: infatti un controllo attento di ciò che entrerà nell’inquadratura (insieme al soggetto principale), e della distanza tra i vari elementi (fiore principale, fiori secondari, foglie, rami, panchine, panni stesi, innaffiatoi di plastica, ecc.) potrà restituire morbide, leggere pennellate di colore, o pesanti elementi di disturbo».
Ho detto prima dell’importanza dello sfondo: infatti un controllo attento di ciò che entrerà nell’inquadratura (insieme al soggetto principale), e della distanza tra i vari elementi (fiore principale, fiori secondari, foglie, rami, panchine, panni stesi, innaffiatoi di plastica, ecc.) potrà restituire morbide, leggere pennellate di colore, o pesanti elementi di disturbo».
«A parità di apertura diaframma, obiettivi diversi lavoreranno in modo diverso, poiché la profondità di campo e l’angolo visuale cambiano notevolmente da uno all’altro: ad esempio un macro 100 mm a 20-30 cm dal soggetto offrirà un’immagine in cui quasi tutta l’inquadratura sarà occupata dal soggetto stesso, mentre un medio tele o un 300 mm, a due metri dal soggetto da ritrarre, ci daranno anche un po’ di sfondo più o meno compresso, sfondo che potrebbe far uscire il nostro close-up dall’anonimato…»
A te la parola: cosa ne pensi degli scatti di Rosanna Castrini? Che emozioni ti trasmettono?
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